La sincerità del presidente

La caccia | Trasmessa il: 10/26/2003



Sarà stato anche sincero, Silvio Berlusconi, nel dichiarare, in pieno parlamento europeo, di non aver potuto prendere sonno al pensiero delle due sorelline annegate insieme nel naufragio di Lampedusa.  Più sincero, senz’altro, di quando, subito dopo, ha dichiarato in tono solenne che “la nostra formazione cristiana ci induce a guardare a questi immigrati con uno spirito di accoglienza degno del nostro livello di civiltà”, e si è dilungato sul dovere dell’Europa “colta e cristiana” di “aprirsi a chi viene qui con la speranza di cambiare il proprio futuro” con la sola forza delle proprie braccia.  Ha raccolto, per una volta, l’applauso unanime di tutti i settori e la solidarietà del vice capogruppo socialdemocratico Schulz, quello cui aveva dato del kapò nell’ormai storica seduta di inaugurazione del semestre italiano, ma non ha certo dato l’impressione di avere in mente un’autentica politica di accoglienza nei confronti dei disperati che rischiano la vita per fuggire la miseria dei propri paesi di origine.  Né i parlamentari che l’hanno applaudito sono sembrati particolarmente ansiosi di dismettere il volto arcigno che l’Europa riserva ai diseredati.  In fondo, lo stesso Schulz, che è un uomo, più o meno, di sinistra, ha detto di sentirsi solidale con l’Italia perché il nostro governo “protegge” dai clandestini anche i confini meridionali del suo paese, e non sfugge a nessuno che tra “proteggere da” e “accogliere” corre, nonostante tutto, una discreta differenza.  Al di là delle parole di circostanza, l’Europa, senza troppe distinzioni tra destra e sinistra, si è abituata da tempo ad affrontare il problema dei migranti con l’ambivalenza di chi sa di avere un gran bisogno del loro lavoro, ma intende pagare questa necessità al minor prezzo possibile in termini economici e culturali.  Né, d’altronde, la cultura dominante, la cultura del mercato trionfante e del successo costi quello che costi, lascia molto spazio alla solidarietà. Non tutti, naturalmente, condivideranno il punto di vista di un Bossi, che, il giorno dopo, ha chiosato il discorso del suo capo dicendo che gli immigrati non sono una risorsa, ma un peso, perché lavorano poco e bisogna anche mantenerli, per cui il problema, poche storie, è solo quello di non lasciarli entrare e rimandare al loro paese quelli che ci fossero eventualmente riusciti, ma è poco ma sicuro che ogni volta che un qualche mentecatto, in qualsiasi paese del continente, sostiene questi punti di vista raccoglie immancabilmente delle barcate di voti.   Non per niente Berlusconi a Strasburgo si è sentito in dovere di difendere dalle solite critiche quello che, dopotutto, è un ministro del suo governo, e questo può aiutare a comprendere con quanta sincerità e convinzione avesse pronunciato, poco prima, quelle solenni parole.
        Ma sulle due sorelline morte, il capo del nostro governo sarà stato senz’altro sincero.  È sempre stato tipico dei ricchi e dei potenti, ma un po’ di tutta la borghesia, commuoversi sui singoli casi umani, piangere sulle disgrazie e onorarne le vittime, e il tutto senza rinunciare a tenere gli occhi ben chiusi sulle responsabilità che stanno alla base degli eventi per cui ci si commuove.   È il modo più semplice, in fondo, per negare l’evidenza di quelle responsabilità, relegando le cause di quei fatti, quando non le si possono attribuire direttamente a qualcun altro, nel novero delle “fatalità” e degli oltraggi imprevedibili del destino.  È un modo, in sostanza, di dire “Cosa volete che c’entri io?  Non vedete come sono dispiaciuto?”  E se il paralogismo è troppo grossolano per farlo inghiottire a eventuali critici ostili, è più che sufficiente per ottenere l’assoluzione da se stessi, che è poi, per certi personaggi così platealmente egoriferiti, l’unica assoluzione che conta.
        Ma a noi persone normali, il fatto che il principale di Bossi si dichiari intenerito dalla sorte di due piccole clandestine continua  a sembrare un’intollerabile espressione di ipocrisia.
26.10.03