Suppongo abbiate letto anche voi, sull’ultimo
numero dell’edizione italiana di “Le Monde diplomatique”, le fulminanti
riflessioni di Eduardo Galeano su questo nostro strano mondo. Un
mondo in cui c’è un paese, gli Stati Uniti d’America, che, per tener
fede alle proprie linee di politica estera, intese notoriamente a contenere
ogni volontà di sopraffazione sugli altri, dovrebbe invadere o bombardare
se stesso; in cui i supposti detentori del potere politico contano sempre
meno di fronte a chi controlla i cordoni della borsa, per cui non è illogico
supporre che buona parte dei governanti, manodopera ormai superflua, corra
il rischio del licenziamento; un mondo in cui non si può lottare contro
la droga, perché le strutture che più delle altre traggono beneficio dal
narcotraffico, le grandi banche multinazionali, sono al di là di ogni possibile
sanzione e in cui l’industria delle notizie potrebbe bloccarsi perché
di eventi mediatici più futili e irrilevanti di quelli con cui siamo stati
intrattenuti in questi anni è difficile davvero trovarne. Un “mondo
capovolto”, insomma, in cui la contraddittorietà tra il quadro valori
enunciato e quello effettivamente riconosciuto è sempre più difficile da
occultare.
Stupisce,
però, trovare citato come esempio ulteriore di questo stato di cose il
caso della città di Muzzafarnagar, nello stato indiano dell’Uttar Pradesh,
in cui, stando a quanto riferisce “The Times of India”, è stata istituita
una “scuola del crimine”, che sta riscuotendo enorme successo. Vi
viene impartita un’educazione di alto livello, al fine di mettere gli
adolescenti locali in grado di guadagnare facilmente grosse somme di danaro:
i corsi comprendono materie come rapimenti, lesioni personali ed esecuzioni
e sono ovviamente integrati da seminari, esercitazioni e sessioni pratiche.
I direttori sostengono di rispondere a una richiesta di mercato e
di svolgere una funzione sociale, visto che l’educazione criminale è la
sola che garantisca ai giovani un lavoro ben remunerato a durata indeterminata.
A
Galeano la notizia sembra paradossale. Evidentemente lo scrittore
uruguayano non si è tenuto aggiornato con il più recente dibattito italiano
in tema di scuola. Se avesse seguito le dichiarazioni concordi degli
esperti del nostro paese (di tutti gli esperti: funzionari ministeriali
e sindacalisti, esponenti del governo e leader dell’opposizione, laici
e cattolici, senza distinzione) saprebbe che a Muzzafarnagar, rispetto
a noi, sono appena un po’ avanti. Qui tutti sanno da almeno un decennio
che la scuola deve rispondere alle richieste del mercato. Tutti concordano
sulla necessità di orientare gli sforzi in quel senso, lasciando perdere
le vecchie fumisterie sulla formazione della personalità e l’acquisizione
dello spirito critico. Solo che noi crediamo, a torto o a ragione,
di poter offrire ai giovani delle prospettiva per cui siano utili delle
competenze non necessariamente criminali, l’informatica, per dirne una,
o l’inglese (per plagiare da Berlusconi due “i” su tre), e d’informatica
e inglese, infatti, inzeppiamo le giovani menti. A Muzzafarnagar
la vita è più dura e nel presupposto che l’unica attività aperta alle
nuove generazioni sia quella banditesca, di competenze banditesche si fa
loro offerta. Ma la logica è sempre la stessa: quella di offrire,
ovviamente a caro prezzo, quanto chiede il mercato. Che tra
il piano del mercato e quello della scuola ci sia non proprio un’incompatibilità
assoluta, ma almeno un’esigenza di distinzione, che ai valori della cultura
vada riconosciuto un minimo di autonomia, qui non lo dice più nessuno.
Per cui, visto che il settore, come si dice, “tira”, aspettiamo
con ansia l’apertura anche nel nostro paese della prima scuola di attività
criminali. Privata, naturalmente, ma con finanziamento statale e
ora di religione obbligatoria.
01.10.’00