La rivincita di Fred Buscaglione

La caccia | Trasmessa il: 12/21/2003



“Se c’è una cosa che mi fa tanto male è l’acqua minerale” cantava, tanti anni fa, Fred Buscaglione ,specificando che “meravigliosa sarà, ma per piacere, io non la posso bere”  e aggiungendo che per stare bene lui beveva alla mattina la nitroglicerina.  Ma che, soprattutto, preferiva il whisky.  Aveva, stando a quella canzone, il “whisky facile” e ne beveva, o diceva di berne, in quantità industriali, anche se la dolce sfumatura piemontese che emergeva dalla sua parlata faceva pensare che l’uomo non fosse alieno, nel caso, al barbera.  Ma il whisky, in quello scorcio di anni ’50, faceva ancora la sua impressione: non era più, forse, appannaggio esclusivo dei personaggi dei romanzi americani o – al massimo – di uno strato sofisticato e un po’ spinto di gente su, ma non si trovava certo a disposizione di tutti in qualsiasi supermercato, anche perché di supermercati, per il momento, non ce n’erano ancora.  Quella bevanda, per una borghesia in ascesa che cominciava a fatica a disintossicarsi dal doppio kümmel, incarnava soprattutto una promessa di modernità, condita – se mai – con un pizzico di anticonformismo: niente di speciale, certo, ma quanto bastava al povero Fred per dar vita, sull’onda dei facili versi di Leo Chiosso, a un personaggio che sarebbe sopravvissuto a lungo alla prematura interruzione della sua carriera mortale.
        Il secondo termine del dilemma, d’altronde, poteva vantare anch’esso qualche titolo di nobiltà.  Anche l’acqua minerale, come ricorderanno gli ascoltatori più anziani, non era cosa da tutti.  A parte gli usi decisamente medicinali di qualche sottospecie, come la celebre Fiuggi, era, a modo suo, un prodotto di lusso.  Chi la consumava, al ristorante, o, più di rado, in casa sua, affermava automaticamente la pretesa a una superiore raffinatezza di gusti, a una qualche forma di distinzione sociale.  Ne era prova il fatto che, come per tutti i prodotti di lusso, se ne vendevano dei surrogati.  Visto che la caratteristica più evidente di quell’articolo erano, tutto sommato, le bollicine, perché all’acqua “minerale naturale”, Fiuggi a parte, non aveva ancora pensato nessuno, gli indigenti o i parsimoniosi potevano sempre ricorrere  a certe misteriose bustine il cui contenuto era in grado di rendere miracolosamente frizzante qualsiasi volgare bottiglia di acqua da rubinetto.  Credo che ci sia gente che, a differenza di Fred Buscaglione, ha costruito su questo commercio ingenti fortune.
        È passato quasi mezzo secolo, e il crescere dei consumi congiunti di whisky e acqua minerale ha segnato, in un certo senso, l’evolversi dell’economia nazionale e del nostro costume civile.  E se a un certo punto la diffusione del celebre distillato scozzese si è fermata (ma credo che in Italia se ne beva, comunque, di più che in tutta la Gran Bretagna), quella dell’acqua minerale non aveva mai subito, fino a due settimane fa, battute di arresto.  Quel liquido, affrancato dalla schiavitù della ingombrante bottiglia di vetro, nei suoi pratici contenitori di plastica di un litro e mezzo e di mezzo litro, venduti più spesso in pacchi da sei che in esemplari singoli, è diventato una componente essenziale (e, tra parentesi, piuttosto ingombrante) della nostra spesa.
Strano, però.  È vero che il progresso economico si misura, tra l’altro, sulla diffusione del superfluo, ma, fra tutti i prodotti superflui che offre spensieratamente la società dei consumi, pochi sono altrettanto superflui dell’acqua minerale.  Il whisky, naturalmente, è una droga e fa malissimo al fegato e a una quantità di altri organi fondamentali, ma, appunto per questo, a qualcosa serve, almeno dal punto di vista dei suoi incauti consumatori.  L’acqua minerale, invece, non serve assolutamente a nulla, nel senso che non ha funzioni, alimentari o di altro tipo, cui non possa adempire, di norma, il fluido diffuso dagli acquedotti comunali.  Proprio in questi giorni, esperti di tutte le risme ci assicurano che non è migliore dal punto di vista organolettico né più sicura da quello igienico.  Che non contiene sostanze benefiche né è priva, rispetto all’acqua potabile altrimenti distribuita, di particolari componenti nocive.  Tutta l’acqua, in fondo, è minerale, e l’unica caratteristica che distingue la varietà venduta in bottiglia, stringi stringi, è quella di essere, appunto, venduta in bottiglia, il che vuol dire che nell’attuale situazione di mercato costa parecchio di più.  Il suo successo commerciale, insomma, è un caso clamoroso di sovrapposizione del valore di scambio sul valore d’uso.  Come a dire che la si compera proprio perché costa e di un prodotto che costa meno o, apparentemente, non costa nulla, come l’acqua dell’acquedotto (che ha il suo prezzo, certo, ma si paga con altre modalità) non ci fideremmo.
È una situazione di cui non è il caso di stupirsi.  Ci siamo cascati tutti, a partire da me che vi parlo.  Si tratta di un trend normale nelle società del nostro tipo, specie in un momento storico in cui la crisi dell’idea di gratuito sembra irreversibile e la mercificazione totale di tutti i beni è la norma.  Non per niente esistono strutture internazionali e multinazionali che pretendono di imporre un prezzo (e riscuoterlo) anche all’acqua disponibile in natura, quella dei fiumi e delle sorgenti, una ricchezza pubblica che in troppi sono ansiosi, oggi, di privatizzare.  E se c’è chi, specie nel Terzo Mondo, cerca di opporsi a quei tentativi e chiede solidarietà sulla sua lotta, è evidente che la disparità delle forze in campo, nella generale indifferenza, non è incoraggiante.
Forse, tutto sommato, aveva ragione Fred Buscaglione.  Tra le molte cose che ci fanno male, oggi, c’è anche l’acqua minerale, in rappresentanza – se non altro – di tutti gli articoli superflui e inutili che la tirannia del mercato ci impone, e gli ignoti iniettatori di sostanze nocive che hanno suscitato, in questi giorni, tanto allarme non hanno fatto che rendere evidente un problema cui, finora, davamo tutti ben poco peso.  Poi, naturalmente, ciascuno può bere quello che preferisce, capovolgendo la bottiglia per vedere se ne fuoriescono gocce sospette o scuotendola a lungo per verificare che la limpidezza del contenuto resti pervicacemente tale.    Non voglio consigliarvi, vi assicuro, di passare in massa al whisky scozzese o ad altre bevande più o meno nocive.  Credo anch’io che ottima cosa  sia l’acqua, come ricordava il vecchio Pindaro nel fulminante attacco della prima ode olimpica.  Ma lui, certo, non la doveva pagare.

21.12.’03