La rana ottimista e lo scorpione fortunato

La caccia | Trasmessa il: 02/03/2008


    Conoscerete anche voi, suppongo, la storia della rana e dello scorpione. Il mio amico Giorgio, uomo di vaste letture e raffinata cultura, mi ha spiegato che si tratta di un apologo zen, ma a me sembra di averla incontrata anche in altri contesti: ricordo, per esempio, che la racconta il personaggio interpretato da Orson Welles in un vecchio film, Rapporto confidenziale, del 1955. Comunque, per chi per avventura non la conoscesse, è una storia facile da raccontare. Questa rana è lì sulla riva del fiume quando arriva uno scorpione che ha urgenza di passare sull'altra sponda, ma non sa nuotare e le chiede, per favore, di traghettarlo. Fossi matta, risponde il batrace: lo sanno tutti che pungi e la tua puntura è mortale, figuriamoci se ti prendo sulla schiena. Ma no, ribatte l'aspirante passeggero, queste sono solo le solite calunnie e poi, scusa, cerca di ragionare, se ti pungessi durante la traversata affonderemmo tutti e due e morirei annegato anch'io, no? Chi me lo farebbe fare? Giusto, conviene l'altra, dopo averci pensato un po': salta su. Naturalmente, quando sono a metà del fiume la bestiaccia punge. La povera rana, prima di essere sopraffatta dal veleno, riesce a chiedere solo: “Perché?” E lo scorpione, prima di sprofondare a sua volta nell'acqua, fa appena in tempo a a rispondere: “È la mia natura.”
    Ora, il Walter Veltroni, si sa, è un appassionato cinefilo, o almeno si presenta per tale. Deve avere, dunque, una certa dimestichezza con l'opera di Welles e non può non conoscere Rapporto confidenziale, che, sia pure nella dimensione del prodotto di genere, è uno dei pochi film che quel grande riuscì a produrre e dirigere, oltre che a interpretare. Quell'apologo, così, lo conosce per forza. Tuttavia, come succede spesso anche ai più furbi (e forse soprattutto a loro), si è lasciato clamorosamente sfuggire il De te fabula narratur, non è riuscito, nonostante ogni evidenza, ad applicare a se stesso la morale espressa da quel racconto. Non ha capito, cioè, che avviando un dialogo privilegiato con Berlusconi nel momento in cui l'uomo di Arcore, abbandonato dagli alleati, contestato in casa e costretto a improvvisare nuovi partiti dal predellino di un'auto, aveva appunto bisogno di qualcuno che gli desse una mano, creava le condizioni migliori per venire trafitto a metà traversata. Il che è puntualmente successo, con la differenza che adesso, insieme a quella rana fiduciosa e un po' troppo piena di sé corriamo il rischio di andare a fondo anche noi, mentre quello scorpione ha delle ottime probabilità di raggiungere sano e salvo la riva. La vita è molto più ingiusta e crudele di qualsiasi favola zen,
    Non è escluso, peraltro, che riesca a cavarsela anche la rana. Conosciamo tutti il batrace in questione e sappiamo che quella di riportare a casa la pelle è, tra tutte, la sua vera, unica specialità. Ha cominciato la carriera politica nella Fgci nel momento in cui le masse giovanili abbandonavano a frotte quella organizzazione, ma non si è lasciato impressionare dal particolare ed è sempre andato per la sua strada. È stato vice di Prodi nel primo governo di centrosinistra, ma, dopo la fine ingloriosa di quella esperienza, invece di spedirlo in esilio a Bruxelles o in qualche posto del genere, lo hanno nominato segretario del suo partito. Ha retto la carica dal '99 al 2001, guidando le sue schiere a una delle più clamorose batoste elettorali della loro storia, dopo di che si è rapidamente riciclato come sindaco della capitale. In quella veste, dicono che non si sia comportato male, il che rende ancora più complicate le cose, perché non si riesce davvero a capire per quale motivo, allora, abbia deciso di cambiare mestiere. Insomma, non dovrebbe essere necessario un grandissimo sforzo per concludere che il ragazzo con la politica, almeno a livello nazionale, incontra qualche difficoltà e che tanto varrebbe lasciarlo con le sue videocassette, i suoi album di figurine e le sue feste del cinema, in una posizione, possibilmente, in cui non possa fare troppo danno. Invece è di nuovo in pista e che gli dei ce la mandino buona.


    Permettetemi un'ultima chiosa. Adesso, nella prospettiva – non più eludibile – delle elezioni, il buon Walter ha deciso che il partito democratico le dovrà affrontare da solo, rinunciando alle pittoresche coalizioni con cui il centrosinistra, in passato, ha tentato la sorte. L'idea, a prima vista, sembrerebbe abbastanza demenziale, visto che la legge elettorale così com'è, quella legge che il Berlusca non ha la minima intenzione di lasciarci modificare, è fatta apposta per incoraggiare e favorire le coalizioni e ai partiti sciolti, salvo quelli con forte vocazione minoritaria, tipo, per dire, i radicali o l'Udeur, non lascia assolutamente spazio. Ma la si capisce benissimo se ci si mette nei panni di uno che ha già deciso di perdere. Perso per perso, tanto vale liberarsi una volta per tutte dai vincoli di coalizione, dagli alleati molesti, dai tanti partitini che, da soli, non avrebbero neanche bisogno della puntura di uno scorpione per affogare e che, tuttavia, non perdono un'occasione che sia una per fare tutto il casino possibile, costringendo i maggiori a portare avanti, caso per caso, le loro particolari esigenze. Non è cosa che un grande partito appena rinnovato possa sopportare più a lungo.
    Be', se si pensa a tutte le grane che ha dovuto sbrogliare, negli ultimi venti mesi, il povero Prodi, viene quasi voglia di dargli ragione. La sconfitta, in questa prospettiva, diventa quasi un'occasione di rinnovamento, una opportunità per rimescolare le carte una volta per tutte, una intuizione geniale che permetterà al suo artefice, tra cinque anni, di riproporsi all'elettorato con tutto il suo carisma. Dal punto di vista di chi, ormai, si è abituato a rinascere dalle proprie ceneri, agli occhi di un politico che le responsabilità delle sue sconfitte, finora, è sempre riuscito ad affibbiarle agli altri, il ragionamento non fa una piega. Peccato solo che un'ipotesi di rinnovamento affidata a un leader su piazza da quasi quarant'anni sia una sgradevole contraddizione di termini e comporti, per di più, la necessità di abbandonare senza combattere questo disgraziato paese nelle mani della peggior destra che il nostro ceto politico abbia mai espresso. Ma questi, si sa, sono fatti nostri, non suoi.

    03.02.'08