La politica del maiale

La caccia | Trasmessa il: 04/24/2005



Chissà se è vero che Berlusconi da piccolo era uno studente brillante quanto si vanta di essere stato.  In età adulta, talvolta, sembra un po’ duro di comprendonio.  Gli ci sono voluti due anni di liti con gli alleati e tre sconfitte elettorali di seguito per scoprire che in Italia la costituzione vigente non gli permetteva di cambiare i collaboratori a suo arbitrio, mentre altrove, nei paesi europei più avanzati, “il premier eletto direttamente dal popolo adegua la squadra di governo ogni volta che si presenta la necessità, senza lunghe ed estenuanti crisi politiche e verifiche parlamentari.”  È, questa, una citazione dal suo discorso in Senato, che, a prescindere dallo scarso fair play, nel senso che non si va in parlamento a dire che le verifiche parlamentari sono inutili ed estenuanti, contiene un clamoroso errore di terminologia,  perché in Europa e altrove, a voler fare i pignoli, di premier eletti direttamente dal popolo se ne trova uno solo in Israele, che non è esattamente un modello da proporre all’ammirazione universale, ma, insomma, tra presidenzialismi, cancellierati, dittature e premierati forti, di  governanti con più poteri dei suoi in giro ce ne sono parecchi e si capisce che il poveretto se ne  accori e faccia un poco di confusione.
        D’altra parte, bisogna pur ammettere che all’inizio della settimana, quando ancora si cullava nella speranza di evitare la crisi e strillava come un’aquila contro le pretese di chi lo voleva succube di un Follini qualsiasi, il presidente del consiglio non aveva del tutto torto.  Era vero, in fondo, che la maggioranza dei cittadini, a suo tempo, aveva tracciato (sia pure con poca saggezza) una croce sopra il suo nome e il fatto che quel nome sulla scheda non fosse previsto dalle norme elettorali, ma ci fosse arrivato per via impropria, come componente grafica del simbolo della coalizione, tutto sommato contava solo fino a un certo punto.  Il che, al di fuori di ogni considerazione bassamente caratteriale, spiega a iosa la riluttanza con cui l’uomo  ha affrontato una procedura dalla quale riteneva di potersi benissimo esimere.
        Il fatto è che Berlusconi, nella sua ansia di traghettare il paese dalla prima alla seconda (e forse alla terza) repubblica, ha preso, per così dire, qualche scorciatoia.  Non aveva né il modo né la possibilità di cambiare il quadro istituzionale, istituendo l’agognato premierato, e si è limitato a farsi chiamare premier dagli amici, certo che l’uso, come succede, si sarebbe generalizzato.  Ha capito che introdurre l’elezione diretta era più facile a dirsi che a farsi e si è fatto eleggere direttamente, se mi è consentito il bisticcio, in modo indiretto.  Non potendo cambiare i ministri in blocco, si è avvalso a dismisura del potere di cambiarli a uno per volta.  Ha giocato, insomma, su quel primato dell’apparenza che in Italia funziona sempre, su quella pratica del “come se” in base alla quale tra potere e legalità a prevalere è sempre il potere, la legalità rappresenta un inutile intralcio e a doversi adeguare, in sostanza, sono solo gli altri.
        Siccome della legalità, in questo nostro paese, non importa niente a nessuno, nemmeno ai giudici, e l’argomento pragmatico (nella versione semplificata per cui chi vince ha ragione) conta sempre più degli altri, per un po’ gli è andata anche bene.  Ma in Italia, com’è noto, con la politica si fa come con il maiale: non si butta mai via niente.  Appena l’aria è cambiata (come certificato dalla batosta alle regionali) i soci del sedicente premier si sono affrettati a recuperare quelle ritualità e quelle minutiae politiche di cui prima si vantavano di essersi sbarazzati.  E così lui, dal rango di nuovo uomo della Provvidenza, come lui stesso si era modestamente definito (allegando, per sicurezza, la testimonianza di un morto) e di statista uso, a suo dire, a intrattenersi alla pari con Bush e a giocare a lippa con Putin, si è ritrovato a dover fare i conti con il manuale Cencelli.
        Gli sta bene, naturalmente, e d’altronde era stato lui, sempre in base al principio di cui dicevamo, a rivendicare l’eredità della Democrazia Cristiana.   Il guaio, dal nostro punto di vista, è che l’esperienza probabilmente lo ha incattivito, incrementandone la nota propensione a far danno.  Ma, visto che da noi la politica del maiale non è appannaggio esclusivo della destra, finché l’opposizione non saprà fare altro che imitare i suoi modi e sperare, al massimo, nell’effetto moderatore di Follini, non si vede proprio come poterglielo impedire.

24.04.’05