La firma della regina

La caccia | Trasmessa il: 10/29/2000



Una notiziola interessante, diffusa in singolare coincidenza con l’apertura della grande mostra archeologica dedicata, in Roma, a “Cleopatra regina di Egitto”, ci viene dall’austero mondo della papirologia.  Il professor Van Minnen, dell’Università di Leida, ha infatti comunicato alla stampa di aver scoperto, in un papiro del Museo egizio di Berlino, un autografo di quella grandissima regina, settima del suo nome, con il cui regno, durato fra alterne vicende dal 51 al 30 avanti Cristo, si concluse, è proprio il caso di dirlo, in bellezza la dinastia dei Lagidi.  Che proprio di un autografo si tratti sembra abbastanza sicuro.  Il papiro in questione contiene l’autorizzazione regale, rivolta a un innominato cittadino romano, a esportare esentasse dall’Egitto fino a diecimila sacchi di grano e a importare fino a cinquemila anfore di vino: un affare, per gli standard dell’epoca, di dimensioni piuttosto cospicue.  Il testo, naturalmente, è stato steso da qualche funzionario di corte, ma in calce vi figura, d’altra mano, la chiosa ghenèstho, come a dire “si esegua”.  Ora, è fuor di dubbio che la facoltà di apporre quella formula fosse una prerogativa rigidamente regale e visto che il papiro è datato senza possibilità di equivoco a quello che per noi è il 33 a.C., non si può non concludere che quelle poche lettere le ha tracciate la regina in persona.
        Sì, d’accordo, so già cosa state per ribattermi.  La scoperta non è tale da stravolgere la nostra conoscenza della vita sociale ed economica dell’Egitto ellenistico.  In fondo, diecimila sacchi di grano e cinquemila anfore di vino potevano rendere un mucchio di soldi a chi li importava ed esportava, soprattutto se in franchigia fiscale, ma di fronte alla Storia con la maiuscola si tratta, alla fin fine, di poca cosa.  E la stessa personalità della regina non sembra ricavare, dalla scoperta particolari lumi.
        D’accordo.  Ma bisogna anche rendersi conto che la scoperta, pur insignificante sul piano storico, resta importantissima dal punto di vista antiquario e non è priva d’interesse per chi ama riflettere sul passato.  In fondo, di nessun altro protagonista della storia antica ci era mai giunto qualcosa di scritto di proprio pugno.  Gli editti, le lettere, le memorie e gli scritti polemici di quei grandi ci sono giunti, quando ci sono giunti, attraverso una tradizione manoscritta di parecchi secoli, grazie all’opera di una lunga catena di copisti e scrivani.  Il fatto che di mano di Augusto, il vincitore, non ci sia giunta una riga e che Cleopatra, la sconfitta, sia stata, da questo punto di vista, più fortunata di lui, pur non cambiando in nulla le carte in tavola, può essere considerata una manifestazione di quell’ironia che sembra talvolta presiedere alla trasmissione delle testimonianze del mondo antico.
        E poi, che questa specifica testimonianza sia poi così insignificante non sarei del tutto sicuro.  Il professor Van Minnen, infatti, crede di poter dimostrare che il cittadino romano destinatario di quel documento fosse quel Publio Canidio Crasso che fu console nel 39 e fu successivamente investito di importanti incarichi militari in Oriente.  Fedelissimo ad Antonio e a Cleopatra, costui comandò le truppe di terra durante la campagna di Azio e non abbandonò il triumviro neanche dopo la sconfitta.  Ora, dal documento firmato di pugno dalla regna sembrerebbe proprio che tanta fedeltà non fosse propriamente disinteressata.  Che da Cleopatra egli avesse ricevuto, per così dire, qualche concreto incentivo.
        Ora, non venitemi a dire che a voi di Publio Canidio Crasso non ve ne potrebbe importare di meno.   Pensate a Cleopatra, piuttosto.  Pensate a tutti coloro che hanno scritto che manovrava gli uomini con la sua bellezza, per cui, come deve aver ipotizzato – credo – quel pettegolo di Pascal, se il suo naso fosse stato più lungo (o più corto) né Cesare né Antonio avrebbero avuto il minimo interesse per lei e per l’Egitto nel suo complesso e la storia del genere umano sarebbe stata, in qualche modo, diversa.
        Futilità, tutte futilità.  Oggi, grazie al professor Van Minnen, disponiamo della prova, firmata e sottoscritta, del fatto che la regina (come tutti, del resto, se appena possono) la fedeltà altrui la pagava in contanti.  E se di quell’incentivo si servì nei confronti di Publio Canidio, chi ci dice che ne abbia usato di diversi con Cesare e Antonio?  Dite che non ne aveva bisogno perché era bellissima e affascinante?  Sì, tutti gli storici ce lo assicurano, ma che degli storici antichi non è mai il caso di fidarsi fino in fondo.  A Cesare, per esempio, Cicerone rimproverava di avere, in campo amoroso, delle preferenze tali da escludere che potesse cader vittima del fascino femminile.  Ma che fosse più che sensibile al fascino della moneta contante, ahimè, era talmente noto che, nelle sue opere, non lo nega neanche lui.
        Dobbiamo rassegnarci, quindi, a eliminare dalla storia la favola della bella regina che spingeva gli uomini a cambiare la storia per amor suo.  Nella storia, gli agenti motori sono inesorabilmente degli altri.  Anche se avesse avuto il naso di Cyrano de Bergerac, Cleopatra controllava comunque le finanze di uno dei paesi più ricchi del mondo mediterraneo e questo, ai generali romani, sarà senz’altro bastato.
        Un vecchio slogan del post ’68 assicurava che tutte le donne sono belle: all women are beautiful.  È un punto di vista di grande saggezza, ma non esclude che, per qualcuno, quelle ricche e potenti siano più belle delle altre (C.O.)

29.10.’00