“La nostra Costituzione” si legge
nella premessa alla bozza di statuto europeo “è chiamata democrazia perché
il potere non è nelle mani di una minoranza, ma del popolo intero.” È
una citazione, dall’Epitaffio di Pericle di Tucidide (II, 37), ed è, come
osserva Luciano Canfora sul “Corriere” di giovedì, al tempo stesso sbagliata
e inopportuna. È sbagliata sul piano della traduzione, perché quell’autore
non si è mai sognato di parlare di “popolo intero” (lui scriveva che
il potere, in democrazia, spetta es pleíonas, che vuol dire “ai più”,
“alla maggioranza”) e inopportuna su quello concettuale, perché il brano
da cui è tratta esprime un’idea di democrazia che a una costituzione moderna
poco si addice. Non è necessario essere filologi del livello del
Canfora, per sapere che al noto storico la democrazia, proprio in quanto
espressione di una maggioranza che lui, da bravo ottimate, considerava
riottosa e nociva, piaceva pochissimo. Di fatto, il senso del discorso
di Pericle com’è ricostruito in quel passo è che il regime vigente ad
Atene era, sì, una democrazia (che etimologicamente vuol dire “potere
del popolo”, più o meno nel senso del nostro “dittatura del proletariato”),
ma, visto che “nelle controversie private” si attribuiva a ciascuno “ugual
peso”, ci si poteva anche spingersi a sostenere che, comunque, ivi vigesse
la libertà, il che, in soldoni, significa che di solito in democrazia di
libertà non ce n’è e quella del governo di Pericle era una felice (e transitoria)
eccezione. L’idea base della nostra democrazia, che non sta tanto
nel governo dei più, quanto nella garanzia che tutti, a prescindere dalla
collocazione sociale e ideologica, godano di pari diritti e dignità, a
Tucidide (e a Pericle) sarebbe sembrata alquanto bizzarra. E va bene
che i tempi cambiano e il significato delle parole anche, ma aprire la
Costituzione europea con una citazione che significa, in sostanza, che
la democrazia è qualcosa di pericoloso se non si trova qualcuno capace
di tenerla a freno, non sembra l’idea migliore del mondo.
Niente,
comunque, in confronto a quanto subito dopo si legge in quel testo. Gli
aspiranti costituenti, mossi probabilmente dall’idea di dare un contentino
al papa senza offendere altre sensibilità, si sono dichiarati ispirati,
nella loro opera, “alle eredità culturali, religiose e umaniste” del
continente, unendo alla tradizione religiosa, in una specie di pout pourri
ideologico, la “civiltà ellenica e romana”, e, con un audace salto in
avanti, “le correnti filosofiche dei Lumi”, tutte manifestazioni ideali
che, nel loro insieme, avrebbero contribuito ad ancorare “nella vita della
società” la “percezione del ruolo centrale dell’essere umano e dei suoi
diritti inviolabili”. Un discreto pasticcio, che, a giudicare dalle
strida dei vari Buttiglione, non deve aver affatto accontentato il papa
e riesce, in compenso, a offendere quei pochi che ancora, in Europa o altrove,
hanno qualche fiducia nei lumi della ragione. Perché è vero che nella
nostra storia c’è l’eredità cristiana, non si discute, e ci sono i Lumi,
naturalmente – i nostri antenati, anzi, sono riusciti a commettere delle
notevoli nefandezze in nome degli uni e dell’altra – ma che a queste
due interessanti manifestazioni del pensiero europeo ci si possa contemporaneamente
ispirare, be’, lo si può anche credere, ma ci vuol proprio tutta.
Bisognerebbe dimenticare il fatto che le tenebre che il pensiero illuminista
pretendeva di dissipare erano appunto quelle della religione, o, almeno,
di quelle interpretazioni della religione che avevano gettato il continente
in una barbarie di guerre e persecuzioni per uscire dalla quale si sarebbero
faticosamente elaborati, più o meno verso la fine del XVIII secolo, i principi
di quella democrazia moderna che i papi si affrettarono a scomunicare e
gli spiriti devoti a combattere. E che oggi a una certa (illusoria)
tolleranza reciproca si sia giunti può essere vero, ma questo non autorizza
nessuno a confondere i piani della storia e a mettere l’eredità dei persecutori
sullo stesso piano di quella dei perseguitati. Se l’Europa che ci
si prepara si fondasse davvero su un’idea così labile della democrazia
e su una conciliazione ideologica così artificiosa e superficiale non potremmo
far altro che chiedere rispettosamente di esserne esonerati.
01.06.’03