La democrazia in citazione

La caccia | Trasmessa il: 06/01/2003



“La nostra Costituzione” si legge nella premessa alla bozza di statuto europeo “è chiamata democrazia perché il potere non è nelle mani di una minoranza, ma del popolo intero.”  È una citazione, dall’Epitaffio di Pericle di Tucidide (II, 37), ed è, come osserva Luciano Canfora sul “Corriere” di giovedì, al tempo stesso sbagliata e inopportuna.  È sbagliata sul piano della traduzione, perché quell’autore non si è mai sognato di parlare di “popolo intero” (lui scriveva che il potere, in democrazia, spetta es pleíonas, che vuol dire “ai più”, “alla maggioranza”) e inopportuna su quello concettuale, perché il brano da cui è tratta esprime un’idea di democrazia che a una costituzione moderna poco si addice.  Non è necessario essere filologi del livello del Canfora, per sapere che al noto storico la democrazia, proprio in quanto espressione di una maggioranza che lui, da bravo ottimate, considerava riottosa e nociva, piaceva pochissimo.  Di fatto, il senso del discorso di Pericle com’è ricostruito in quel passo è che il regime vigente ad Atene era, sì, una democrazia (che etimologicamente vuol dire “potere del popolo”, più o meno nel senso del nostro “dittatura del proletariato”), ma, visto che “nelle controversie private” si attribuiva a ciascuno “ugual peso”, ci si poteva anche spingersi a sostenere che, comunque, ivi vigesse la libertà, il che, in soldoni, significa che di solito in democrazia di libertà non ce n’è e quella del governo di Pericle era una felice (e transitoria) eccezione.  L’idea base della nostra democrazia, che non sta tanto nel governo dei più, quanto nella garanzia che tutti, a prescindere dalla collocazione sociale e ideologica, godano di pari diritti e dignità, a Tucidide (e a Pericle) sarebbe sembrata alquanto bizzarra.  E va bene che i tempi cambiano e il significato delle parole anche, ma aprire la Costituzione europea con una citazione che significa, in sostanza, che la democrazia è qualcosa di pericoloso se non si trova qualcuno capace di tenerla a freno, non sembra l’idea migliore del mondo.
        Niente, comunque, in confronto a quanto subito dopo si legge in quel testo.  Gli aspiranti costituenti, mossi probabilmente dall’idea di dare un contentino al papa senza offendere altre sensibilità, si sono dichiarati ispirati, nella loro opera, “alle eredità culturali, religiose e umaniste” del continente, unendo alla tradizione religiosa, in una specie di pout pourri ideologico, la “civiltà ellenica e romana”, e, con un audace salto in avanti, “le correnti filosofiche dei Lumi”, tutte manifestazioni ideali che, nel loro insieme, avrebbero contribuito ad ancorare “nella vita della società” la “percezione del ruolo centrale dell’essere umano e dei suoi diritti inviolabili”.  Un discreto pasticcio, che, a giudicare dalle strida dei vari Buttiglione, non deve aver affatto accontentato il papa e riesce, in compenso, a offendere quei pochi che ancora, in Europa o altrove, hanno qualche fiducia nei lumi della ragione.  Perché è vero che nella nostra storia c’è l’eredità cristiana, non si discute, e ci sono i Lumi, naturalmente – i nostri antenati, anzi, sono riusciti a commettere delle notevoli nefandezze in nome degli uni e dell’altra –  ma che a queste due interessanti manifestazioni del pensiero europeo ci si possa contemporaneamente ispirare, be’, lo si può anche credere, ma ci vuol proprio tutta.   Bisognerebbe dimenticare il fatto che le tenebre che il pensiero illuminista pretendeva di dissipare erano appunto quelle della religione, o, almeno, di quelle interpretazioni della religione che avevano gettato il continente in una barbarie di guerre e persecuzioni per uscire dalla quale si sarebbero faticosamente elaborati, più o meno verso la fine del XVIII secolo, i principi di quella democrazia moderna che i papi si affrettarono a scomunicare e gli spiriti devoti a combattere.  E che oggi a una certa (illusoria) tolleranza reciproca si sia giunti può essere vero, ma questo non autorizza nessuno a confondere i piani della storia e a mettere l’eredità dei persecutori sullo stesso piano di quella dei perseguitati.  Se l’Europa che ci si prepara si fondasse davvero su un’idea così labile della democrazia e su una conciliazione ideologica così artificiosa e superficiale non potremmo far altro che chiedere rispettosamente di esserne esonerati.

01.06.’03