L’uomo che uccideva i mostri

La caccia | Trasmessa il: 04/10/2005




Adesso che le elezioni si sono regolarmente svolte, chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto e la Lombardia è stata consegnata, inerme, nelle mani del pio Formigoni  posso finalmente occuparmi di quello che, a mio avviso, merita il titolo di manifesto cult di questa campagna elettorale.  Mi riferisco, non me ne vogliate, a quello in cui il consigliere Prosperini, esponente di una “destra del nord” che a volte complode in “nordestra”, stranissimo neologismo coniato, credo, per indicare il fatto che il soggetto è passato dalla Lega ad Alleanza Nazionale, si è fatto raffigurare nelle vesti di un antico guerriero in armatura.  Si tratta di un documento, dal punto di vista iconico, straordinario.  Il candidato, pur senza elmo per ovvii motivi di riconoscibilità, vi figura  rivestito fino al collo di acciaio brunito, come sulla copertina di un romanzo di fantasy, nell’atto di brandire lo spadone con il quale, in difesa del cittadino elettore, ha fatto e farà strage di nemici.  Ammucchiate ai suoi piedi, in effetti, giacciono le armature degli avversari, rappresentati, come specificano appositi cartigli, dalla Clandestinità, dall’Abusivismo, dai Centri sociali, dalla Criminalità, dal Terrorismo e altre consimili piaghe.  La facciata del Duomo di Milano sullo sfondo non lascia dubbi sull’ambientazione in terra lombarda della virtuosa ecatombe.  Ed è un peccato che se ne siano viste affisse pochissime copie, di solito lacerate a opera di oppositori di scarsa tolleranza e pochissimo addentro i misteri della comunicazione politica, perché se lo fossero avrebbero capito subito che da una esposizione siffatta la parte prosperiniana avrebbe tratto più danno che da una battaglia perduta.
       A prescindere da questi e altri possibili giudizi di merito, tuttavia, quel manifesto a me ha quasi fatto tenerezza.  Mi ha ricordato le campagne elettorali di una volta, quando, in assenza di televisione e talk show, i muri fiorivano di immagini, allegorie e caricature di ogni tipo e i candidati non affidavano le proprie speranze solo a quegli insulsi fotocolor che usano oggi, ma a pittoresche raffigurazioni di cosacchi abbeveranti i cavalli in piazza San Pietro o capitalisti in cilindro con il segno del dollaro intenti a strappare il pane di bocca a orfani smunti e vedove macilente.  Si vede che il Prosperini (che pure, quanto ad abuso del fotocolor non scherza) viene anche lui da quegli anni e, tra i vari spunti allegorici offerti dal repertorio, ne ha scelto uno che anche allora andava piuttosto forte: quello dell’eroe che uccide il mostro.  Anzi, nel caso, i mostri.
       Va considerato, naturalmente, anche il fatto che il consigliere, nonostante l’apparente rozzezza ideologica, non è uomo privo di cultura.  È un medico, con tanto di specializzazione – mi sembra – in  dermatologia, il che spiega, fra parentesi, la sicurezza della diagnosi con cui riuscì, anni fa, a infiammare un’assemblea di partito, annunciando ai convenuti che i comunisti, diciamolo pure, un po’ puzzano.  Diversamente da altri leader nordisti, ha compiuto studi regolari.  Niente di strano, dunque, se ha saputo riallacciarsi a una tradizione che comincia con il Bellerofonte omerico, prosegue con Perseo, si cristianizza in San Giorgio e raggiunge il culmine narrativo nell’episodio ariostesco di Rinaldo e Angelica.  Il fatto che, a differenza della maggior parte dei suoi illustri predecessori, lui faccia strage di draghi senza nemmeno l’incentivo di una fanciulla da salvare va solo a suo merito.  Agisce esclusivamente per il bene dei suoi concittadini e come potrebbero, questi, non essergliene grati?  Sarà per questo, suppongo, che lo hanno trionfalmente rieletto.
       Tutto ciò può suonare un po’ buffo e forse vi chiederete perché mi occupi di un personaggio che, per quanto pittoresco, è considerato di solito espressione di un filone marginale della politica nazionale e lombarda.  Be’, la risposta è fin troppo facile: perché, forse, quel filone tanto marginale non è.   Noi siamo avvezzi a identificare la destra regionale e cittadina con l’affabilità chiesastica di Formigoni e la sua pronuncia elegantemente blesa, o i puntigliosi autocompiacimenti di Albertini, due personaggi che si guarderebbero dall’identificare – come fa quel manifesto – criminalità e disagio sociale, ma preferiscono vantarsi della “eccellenza” del sistema lombardo, della sua funzionalità assistenziale e sanitaria, dell’esemplare solerzia con cui è stato condotto il restauro della Scala e di altri risultati più o meno fantomatici, ma sempre ad alto livello di rispettabilità.   I Prosperini restano sullo sfondo a menare la draghinassa, immuni dal sospetto di rendersi vagamente ridicoli.  Ma se poi andiamo a contare voti e seggi, alla fin fine scopriamo che né il devoto Roberto, che pure ha alle spalle le schiere cielline, né l’operoso Gabriele, vanto e pupillo della imprenditorialità lombarda, potrebbero governare senza quel supporto lì, senza i massacratori di draghi (fittizi) e i propalatori di un’intolleranza che di solito si colloca al limite del razzismo ma, ogni tanto, rischia di superarlo.  E le tendenze che quel tipo di destra esprime non sono semplicemente folcloristiche o strapaesane.  Sarà certo un caso, da cui non si possono trarre conclusioni particolari, ma l’immagine dei nemici abbattuti ammucchiati ai piedi del guerriero di cui dicevamo dianzi, ricorda maledettamente certe foto ricordi scattate nel carcere di Abhu Graib.
       Insomma, le elezioni sono andate bene, probabilmente in Lombardia non si poteva fare di più e non sarò io, per una volta, a lamentarmi.   Ma stiamoci attenti, perché con certa gente si sa dove si comincia, ma si può finire davvero male.

10.’04.’05