Non so voi, ma io, quando ero a scuola,
nel senso di quand’ero studente, nei lontani anni ’50, con i compiti
e le lezioni faticavo alquanto a tenermi in regola. E a quei tempi,
vi assicuro, gli insegnanti non ci andavano giù leggeri: ricordo ancora
certi pomeriggi in cui, non senza stupore, mi accorgevo di avere, per il
giorno dopo, una versione di greco, una quindicina d’esercizi di trigonometria,
tre capitoli di Seneca da tradurre e, come se non bastasse, la vita del
Tommaseo e la seconda guerra d’Indipendenza da imparare se non a memoria
quasi. Tutta quella roba, naturalmente, non me l’avevano assegnata
la mattina stessa: la versione di greco risaliva almeno a una settimana
prima e della necessità di fare tesoro dei fatti e misfatti della seconda
guerra d’Indipendenza si parlava chissà da quando, ma, per un motivo o
per l’altro, mi ero ridotto, come al solito, all’ultimo pomeriggio utile.
E il guaio era che, di solito, quel pomeriggio avevo una quantità
di cose molto più urgenti da fare: qualche intrigo politico irrinunciabile,
qualche discussione con gli amici su uno dei tanti argomenti di vitale
importanza di cui si suole discutere a diciassette anni, qualche lettura
di cui non potevo fare proprio a meno, telefonate da fare, dischi da ascoltare
e poi… e poi dovevo proprio uscire a fare un giretto, nel caso mi capitasse,
non si sa mai, di incontrare quella tale ragazza che di solito si faceva
vedere verso le sei ai giardinetti in fondo a via Quadronno. Tutti
impegni, lo capirete, molto più cogenti e interessanti di qualsiasi banale
incombenza scolastica. Per cui, dopo una breve lotta con la mia coscienza,
decidevo di rimandare il tutto a dopo cena, o addirittura al mattino dopo,
mettendo nel conto, se necessario, un certo anticipo della sveglia. E
neanche un anticipo tanto straordinario, perché, a pensarci bene, in storia
mi avevano interrogato da poco e la seconda guerra d’Indipendenza potevo
benissimo risparmiarmela; per gli esercizi di trigonometria avrei potuto
contare ancora una volta su quella santa donna della professoressa, sempre
disposta ad accettare all’ultimo momento le più improbabili giustificazioni
e i capitoli di Seneca, se del caso, avrei potuto arrischiarmi a tradurli
a prima vista, magari aiutandomi con qualche veloce sbirciata alle note
in calce. Restava solo la versione di greco e in greco ero bravissimo
e avrei dovuto riuscire a sbrigarmela in una mezz’oretta scarsa. Quanto
alla vita del Tommaseo… be’, non si può fare tutto e ancor oggi,
confesso, di cosa sia esattamente accaduto a quel degno letterato e patriota
non me la sentirei proprio di dichiararmi al corrente.
Sono
tutte cose di tanti anni fa, di molto prima del Sessantotto e della nascita
della nuova didattica illuminata. Oggi non so esattamente cosa facciano
i moderni insegnanti, ma sono sicuro che nessuno di loro si sognerebbe
di infliggere ai propri studenti un cumulo di versioni di greco, esercizi
di trigonometria e capitoli di Seneca da tradurre a casa. Sono cose
che non si fanno, anche perché possono indurre nella tenera psiche dei
giovanetti delle tendenze nocive e assai difficili da sradicare. Io,
per esempio, il malvezzo di rimandare all'ultimo momento l'applicazione
a qualsiasi incombenza me lo sono portato dietro praticamente per tutta
la vita: in tanti anni di onorata professione giornalistica e letteraria,
non sono mai riuscito a dedicarmi a un articolo fino al giorno stabilito
per la consegna o a cominciare una traduzione senza che l’editore me l’avesse
sollecitata almeno una volta (e capirete anche voi che tutto questo
non può che provocare ansietà e turbe mentali, per non dire del fatto che
quegli scritti che, pur interessandomi personalmente più di tanti altri,
nessuno ha motivo di sollecitarmi, finiscono regolarmente per languire
nell’abbandono). Ai pezzulli di questa nostra “Caccia” domenicale,
com’è e come non è, finisco sempre per lavorare il sabato pomeriggio e
scarso sollievo mi viene dalla consapevolezza che l’Accame, di solito,
si dedica ai suoi nelle ore piccole della domenica, perché so che l’Accame
in questione, oltre che un lavoratore indefesso, è un uomo di grandi capacità
auto-organizzative, che riesce a tener fede ai suoi molteplici impegni
con la massima puntualità, pur assumendone molti, ma molti, più di
me.
Mi
perdonerete, così, se mi sono permesso un sorriso leggendo, sui quotidiani
di qualche giorno fa, come in analoga condizione si trovino oggi i deputati
e i senatori del parlamento nazionale, almeno quelli che fan capo all’attuale
maggioranza. Poveri cristi, davvero: le Camere hanno ricominciato
a lavorare lo scorso 9 gennaio, le interrogazioni, pardòn, le elezioni
sembrano irrevocabilmente fissate per il prossimo aprile e il calendario
delle cose da fare è davvero imponente. In teoria i rappresentanti
del popolo dovrebbero varare, come se fosse niente, la nuova legge elettorale,
per passare poi alla conferma in seconda lettura della riforma federalista
dello Stato, all’approvazione definitivo del “pacchetto sicurezza”,
della legge sul conflitto d’interessi e di quella, figuriamoci, sull’emittenza
radiotelevisiva. Roba da fare tremare le vene e i polsi, anche perché,
se non vado errato, l’opposizione non ha la minima intenzione di consentire
l’approvazione di nulla di tutto ciò e una delle cose di cui qualsiasi
maggioranza ha disperatamente bisogno per imporre i propri punti di vista
a un’opposizione agguerrita e riluttante è proprio il tempo.
Anche
in questo caso, naturalmente, se il tempo manca vuol dire che qualcuno
lo ha dilapidato. Nessuno di questi impegni legislativi è frutto
di un’emergenza dell’ultimo minuto: della legge elettorale si parla dall’inizio
della legislatura, del conflitto d’interessi da quello della precedente
e del resto, comunque, da anni. Verrebbe abbastanza spontaneo chiedersi
perché mai non si sia trovato ancora il modo di definire queste importante
tematiche. In fondo, quando i parlamentari vogliono decidere, decidono.
Ricorderete che ci hanno messo un paio di pomeriggi per decidere
di fare guerra alla Serbia, checché dicesse in merito la nostra Costituzione,
e l’elezione diretta dei presidenti delle regioni, quella che in Lombardia
ci ha portato in dono Formigoni, l’hanno introdotta così in fretta che
all’epoca non se n’era accorto quasi nessuno. Sulla legge elettorale
nazionale, nonostante i cittadini abbiano manifestato il proprio punto
di vista assai chiaramente con un paio di referendum, nessuno sembra aver
mai sentito una simile urgenza. E quanto al conflitto d’interessi,
evidentemente è sembrato più astuto fare in modo che possa risolverselo
a modo suo il diretto interessato.
Francamente,
non so cosa dirvi. Io da ragazzo non facevo i compiti perché, in
definitiva, avevo altro da fare, ma che possono avere da fare, oltre alle
leggi, i membri di un corpo legislativo? Forse, come gli studenti
pigri della tradizione, si sono lasciati traviare dalle cattive compagnie.
Oh, a proposito. Il 9 gennaio
le Camere hanno ricominciato a lavorare, ma io no. Ho approfittato
della mia condizione di pensionato per concedermi, come dire, una vacanza
di studio fuori stagione, che mi terrà lontano dal paese fino al prossimo
febbraio. Queste mie parole vi giungono, così, registrate, come vi
giungeranno registrati, spero, i miei interventi nelle prossime due domeniche.
Se al mio ritorno apprenderò che tutte le leggi di cui sopra sono
state regolarmente approvate, sarò lieto di fare la più ampia palinodia
(Carlo Oliva).
14.01.’01