Irrilevanza uno

La caccia | Trasmessa il: 11/21/2004



Non so se sia giusto considerare Gianfranco Fini, come si è letto da qualche parte, il nostro primo Ministro degli Esteri fascista dopo Galeazzo Ciano.  Anzi, tutto sommato, penso che non lo sia.  Non lo è, se non altro, perché si è preso il disturbo di dichiarare in pubblico che lui con il fascismo aveva chiuso una volta per tutte e, anche se delle dichiarazioni del genere è sempre meglio diffidare un po’, correttezza vuole che, fino a prova contraria, le si prendano per buone.  Il discorso, certo, sarebbe diverso per il suo partito e il relativo elettorato, in cui, credo, di fascisti non si sente penuria, ma questo è un dato che, stricto sensu, non lo riguarda.
        E poi, suvvia, i due personaggi sono troppo diversi tra loro per poter azzardare dei paragoni.   Fini, quali che siano i suoi difetti, non è un figlio di papà giunto ai vertici della diplomazia nazionale per aver sposato la figlia del boss: è uno che per costruire la sua attuale posizione politica si è fatto, come si dice, un mazzo così.  Un fascista, se vogliamo (almeno fino all’abiura di cui sopra), ma un fascista operoso e non privo di sale in zucca, tutt’altra cosa, dunque, del povero Galeazzo, che, almeno a giudicare dalla decisione di rifugiarsi, dopo l’8 settembre, proprio in Germania, di cervello doveva averne, per sua disgrazia, una fornitura inferiore alla media.   E se può dare abbastanza fastidio sapere che una delle cariche politiche più importanti del paese è finita in mano al presidente di Alleanza Nazionale, resta vero che su quella poltrona la politica italiana non ha mai saputo insediare dei grandissimi statisti.  La stessa sinistra, nella breve stagione in cui fu al governo, non seppe fare di meglio che metterci Lamberto Dini.
        Tutto ciò doverosamente premesso, resta vero che una cosa in comune la nomina di Galeazzo Ciano e quella di Gianfranco Fini ce l’hanno.  In entrambi i casi, a pensarci, si tratta di nomine affatto irrilevanti.  Perché un Ministro degli Esteri sia un personaggio degno di encomio e reverenza, destinato a raccogliere il plauso degli ambienti internazionali e a finire, a suo tempo, sui libri di scuola e sulle targhe delle vie, è necessario che gli si dia da gestire una politica adeguata, o, al minimo, interessante.  Ora, l’Italia repubblicana, nonostante il buon apparato diplomatico di cui si dice disponga, una politica estera degna di questo nome non l’ha mai avuta, a meno che si voglia far passare per tale il semisecolare appiattimento a pelle di fico di fronte al padrone americano.  E in questo pur modestissimo ambito, al momento, le iniziative di un qualche interesse le gestisce direttamente Berlusconi, che infatti si è potuto permettere di cambiare quattro titolari alla Farnesina in tre anni e mezzo con la disinvoltura di chi cambia dei collaboratori non troppo importanti.
Prima della guerra, forse, le circostanze erano per certi aspetti diverse, se non altro perché era diverso il padrone, ma anche allora il timone degli affari diplomatici era solidamente nelle mani del duce e al ministro competente non restava che metterci, quando richiesto, la firma.  Né mi sembra, in tutta sincerità, che al suo attuale successore restino molte altre incombenze.
Perché cosa si può fare, in definitiva, in una situazione del genere?  Poco, pochissimo.  Si può provare a fare un po’ di fronda, come fece appunto Ciano e probabilmente farà Fini, ma più per passare il tempo che altro.  Si può cercare di trarre dalla nuova posizione qualche vantaggio politico e da questo punto di vista Fini è in vantaggio sul  predecessore, perché lui ha un partito cui badare e la prospettiva di arricchire di nuovi parametri la mappa partitica della diplomazia, in cui il lotto in quota ad Avanguardia Nazionale sembra sia sottostimato, dovrebbe bastare a tenere occupato per un po’ qualsiasi politico.  Dopo di che, possiamo stare sicuri che a scodinzolare davanti a Bush e a pavoneggiarsi di fronte a Putin ci sarà, come sempre, l’ineffabile Berlusconi.
Che tutto questo faccia onore al paese, naturalmente, è cosa assai dubbia.  Ma dubito che la cosa importi a qualcuno.  E non è neanche questione di persone: il difetto, ahimè, sta veramente nel manico.

21.11.’04