Ipocriti in armi

La caccia | Trasmessa il: 10/15/2006


    Benritrovati a tutti. Avrete notato anche voi, suppongo, come in questi giorni, con tutto il gran parlare che si è fatto della prima finanziaria del centrosinistra, nel dibattito se non fosse più opportuno tagliare o tassare, badare ai conti o pensare allo sviluppo, far piangere i ricchi o riportare il sorriso sulle labbra dei poveri, nessuno ha avuto modo di occuparsi di quei 1700 milioni di euro che il documento in questione destina all’acquisto di armi e tecnologia militare. L’unico a scandalizzarsene, a quanto mi risulta, è stato Vauro, in un articoletto su “E-polis Milano” di martedì scorso, ma Vauro è un noto esagerato, legato mani e piedi a un pericoloso estremista come Gino Strada, ed “E-polis”, per quanti auguri di successo gli si possano fare, è, per ora, un periodico abbastanza sperimentale, a circolazione ancora limitata. I commentatori importanti e i giornali che contano, sull’argomento hanno preferito sorvolare. Eppure, anche in rapporto ai 34 miliardi e rotti del totale, quella di 1700 milioni è una bella cifretta, specie se la si somma ai non so quanti miliardi esenti da taglio del bilancio ordinario della Difesa e al miliardo supplementare (fuori finanziaria) che ci costeranno le varie “missioni” in cui le forze armate italiane sono impegnate nell’intero pianeta. L’Italia è un paese pacifico e notoriamente ripudia la guerra, ma questo non gli impedisce, quando necessario, di fare la faccia feroce.

    Qualcuno, naturalmente, potrebbe eccepire che quelle missioni sono “di pace” e che alla difesa della pace e non ad altro servono quelle armi, ma è un argomento, francamente, di scarso interesse. Lo si ripete da troppo tempo perché lo si possa prendere sul serio e l’idea di pace che sottintende non è tale da interessare a nessuno. A dire per primi che per avere la pace bisognava preparare la guerra furono quegli antichi romani il cui concreto obiettivo era la conquista del mondo conosciuto e poco importa, come credo abbia osservato Voltaire, che i loro storici presentassero quelle conquiste in termini di legittima difesa. Era una giustificazione ipocrita e poco credibile, come può esserlo, per tornare ai giorni nostri, l’attività di un ministro degli esteri che, a suo tempo, si è conquistati i galloni di statista facendo partecipare il paese ai bombardamenti sulla Serbia. E non si tratta tanto di ipocrisia personale, perché le colpe dei singoli, nel caso, si confondono con quelle di una intera classe dirigente per cui la “difesa della vita” è solo quella che intende il papa e si dimostra incapace di pronunciare, in tema di pace e di guerra, non tanto una parola di sinistra quanto una di semplice buonsenso.

    Ahimè. Scrive il Machiavelli, in quel celebre capitolo in cui tratta “de’ principati nuovi che s’acquistano con l’arme proprie e virtuosamente”, che, essendo tale la natura de’ popoli per cui “è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione”, è sempre meglio disporre di un qualche solido argomento coattivo, come dimostra il fatto che, a sua memoria, “tutti i profeti armati vinsono e quelli disarmati ruinorno”. Rifletteva, il Segretario fiorentino, oltre che sulle necessità del suo Principe ideale, sulle recenti esperienze di fra’ Ieronimo Savonarola, come lo chiama lui, e a questo punto di vista, di solito, si riferisce chi rifiuta le prospettive del disarmo e della nonviolenza e le relega volentieri nel regno dorato, ma remotissimo, dell’utopia. Ma l’argomento è, per così dire, a doppia lama, visto che, per sua natura, prescinde da qualsiasi considerazione di democrazia o di rispetto della volontà generale. E poi, se le armi possono servire ai “profeti”, intendendo per tali coloro che intendono creare, in un momento di crisi, una realtà politicamente (ed eticamente) nuova, il che è più o meno la stessa cosa che avrebbe sostenuto Marx tre secoli dopo parlando della violenza come levatrice della storia, non c’è proprio niente di profetico o di rivoluzionario nell’uso che ne sanno fare i governanti di oggi, nostri e altrui. A meno che s’intenda come vocazione etica la difesa a oltranza dello status quo, la conservazione, costi quel che costi, della massa di iniquità e di ingiustizie su cui si fonda l’equilibrio internazionale vigente, la sottomissione ai potenti del mondo e l’accondiscendenza alle loro necessità e strategie, che è più o meno quello che si fa in tutte le “missioni di pace” di cui dianzi. Ad altro non sembra che possano servire quei 1700 milioni di armamenti che non ci potremmo permettere e non basterà tutta l’ipocrisia che alligna nel governo e nell’opposizione per farli sembrare un investimento di pace.