Invenzioni

La caccia | Trasmessa il: 05/29/2005



Ha detto Giuliano Amato che i partiti non si inventano.  Una massima sacrosanta, a prima vista, ma anche piuttosto ovvia.  I partiti non si inventano perché, secondo la dottrina politica classica, quella in cui siamo cresciuti voi e io, devono essere portatori di interessi reali, radicati in ampi settori della società e organizzati attorno a un progetto di ampio respiro.  Anche se pronunciata con le migliori intenzioni del mondo, quelle di raccomandare all’incazzatissimo Prodi di andarci piano con l’idea di una lista personale che ci sta ci sta e gli altri si grattino, l’affermazione ricorda un po’ troppo la scoperta dell’acqua calda per onorare davvero la sottigliezza che all’ex Presidente del Consiglio normalmente si accredita.
        D’altra parte…  d’altra parte, nel sistema politico non più tanto classico in cui ci tocca di muoverci, l’affermazione rischia di risultare clamorosamente falsa.  Come ha dimostrato Berlusconi, che ne ha creato uno dal nulla undici anni fa e sta cercando di fare altrettanto oggi, i partiti si possono benissimo inventare.  Basta disporre del contante necessario e del potere mediatico relativo.  Ai vasti settori della cittadinanza richiesti dalla teoria si potrà far credere che i loro interessi verranno tutelati davvero da una struttura creata per tutelare gli interessi di un altro e l’invenzione, benché mendace, per qualche tempo riuscirà a reggersi.  Il tempo, per lo meno, di cui l’inventore ha bisogno per sistemare i suoi affari personali e ridurre al lumicino la concorrenza.  Poi si vedrà.
        Non solo.  Si è visto che con un po’ di buona volontà e un minimo di fortuna ci si può inventare, se non un partito, almeno una entità subpartitica  (o sovrapartitica, fa lo stesso), anche se non si ha il becco di un quattrino e se i propri progetti non sono altrettanto mirati.  Pensate all’Ulivo.  Anche l’Ulivo, questo strano oggetto che da quasi dieci anni si aggira per l’Italia senza che nessuno sappia  veramente di che cosa si tratti – progetto, alleanza, coalizione o che altro –  è frutto di un’invenzione.  Di un’invenzione, anzi, particolarmente felice, visto la perentorietà con cui ha fatto trangugiare a una bella fetta di elettorato la minestra, più e più volte riscaldata, della consociazione asimmetrica tra il Partito comunista e la Democrazia cristiana che aveva caratterizzato gli ultimi anni della prima Repubblica.  La capacità inventiva, in questo caso, è stata quella di proporre questo nipotino delle “larghe intese” e del “compromesso storico”  sotto una veste un po’ vaga ma, indubbiamente, altra.  Chiunque ci abbia pensato, è stato un capolavoro e infatti l’idea finora ha funzionato, nonostante gli scossoni cui i suoi azionisti più riluttanti lo hanno ripetutamente sottoposto.  Che l’ulivo (con la minuscola) si debba scuotere per raccoglierne i frutti è, d’altronde, un antico principio dell’agricoltura mediterranea.
        Non sarà un caso, dunque, se oggi le due contrapposte invenzioni della vita politica nazionale sono andate in crisi contemporaneamente.  E anche se, da un lato, Berlusconi pensa di avere abbastanza quattrini e potere per ripetere bel bello l’operazione del 1994 e, dall’altro, i leader ulivisti confidano a oltranza nella propria capacità di metterci una pezza, può darsi benissimo che la crisi sia peggiore di quanto si creda.
        Vedete, tanto per limitarci ai problemi nostri, io mi sono sinceramente divertito, negli ultimi giorni, a sentire, nei vari microfoni aperti, gli ascoltatori di Radio Popolare inveire contro Rutelli, dandogli del venduto, del sicofante, dell’incompetente, del vanesio e avanti ad libitum.  Per quel che mi riguarda, sottoscrivo di cuore.  Ma non so quanto la crisi dell’Ulivo possa essere spiegata (e risolta) addebitandola alla malafede o alla incompetenza di questo o di quello.  Rutelli sarà stato un po’ più spregiudicato della media nel suo percorso dalla segreteria del Partito radicale alla presidenza di quello postdemocristiano, ma è un personaggio affatto omogeneo all’establishment ulivista, di cui fa parte da sempre e di cui condivide logiche e motivazioni.  L’Ulivo, per dirla brutalmente, funzionava abbastanza bene finché sembrava destinato alla opposizione perpetua e, legittimo erede del compromesso storico, si proponeva il nobile compito di salvare la democrazia.  Ora che, dopo il risultato delle regionali, si respira una certa qual aria di governo, il problema è quello di chi concretamente gestirà l’auspicata vittoria, il che richiede che da una realtà aperta e interpretabile da ciascuno dei partner a modo proprio si passi a una struttura in cui i rapporti reciproci siano definiti con la massima precisione.  Che è, lo ammetterete, un bel problema e non coinvolge soltanto le responsabilità dell’ex sindaco di Roma o le speranze di quello attuale.  Speriamo che qualcuno si decida a riconoscerlo e ad affrontarlo esplicitamente per quello che è, se no è vero che i partiti non si inventano, ma qualcosa saremo costretti a inventarci lo stesso.

29.05.’05