Inventare la storia

La caccia | Trasmessa il: 10/11/2009


    La battaglia di Legnano, come suppongo sappiate, fu inventata – all'incirca– nei primi decenni dell'Ottocento. Non che nel 1176 non si sia svolto, da quelle parti, un (modesto) fatto d'armi tra l'esercito di Federico I di Hohenstaufen (il “Barbarossa”) e quello di alcuni comuni lombardi riuniti in Lega, ma non fu cosa da fare particolare impressione. Non ne fu impressionato neanche l'imperatore, che, anche se non potè raggiungere, come sperava, Pavia, per congiungersi con le truppe del Marchese del Monferrato, riuscì a concludere la campagna, nel complesso, a proprio favore, dividendo gli avversari e stipulando con essi una serie di paci separate che, di fatto, confermavano il suo potere. Ma era pur sempre stata una vittoria di combattenti italiani contro un sovrano tedesco e di episodi del genere, due secoli fa, si andava avidamente alla ricerca, come precedenti capaci di dare una qualche patente di nobiltà storica all'ideologia risorgimentale. La breve vicenda della Lega Lombarda, da questo punto di vista, era materia particolarmente pregiata, perché, essendo quell'organizzazione ispirata e promossa da papa Alessandro III, permetteva, per una volta, di presentare la chiesa come non ostile alla causa nazionale e di associare la parte cattolica alla sua celebrazione. A tal scopo, naturalmente, era necessario tacere un paio di particolari imbarazzanti, come il fatto che il papa , a vittoria ottenuta, si sarebbe affrettato a riconciliarsi con il Barbarossa lasciando gli alleati in braghe di tela, e – soprattutto – che l'esercito di Federico, che non aveva ricevuto i rinforzi che aspettava dalla Germania, era composto in gran parte dalle forze dei comuni lombardi ostili all'egemonia di Milano. Ma siccome per falsificare la storia non era necessario aspettare l'istituzione di quel Ministero della Verità preconizzato da George Orwell in 1984, nessuno si fece degli scrupoli e la versione “patriottica” degli eventi fu ufficializzata in due delle poesie più deplorevoli che le lettere italiane abbiano mai prodotto, la sezione delle Fantasie del Berchet dedicato al “Giuramento di Pontida” e quel Parlamento in cui il vecchio Carducci, facendo tramontare il sole dietro il Resegone, dimostrava di essere ignorante in geografia non meno che in storia. Quei testi, imposti inesorabilmente dalla scuola all'apprendimento forzoso delle giovani generazioni, avrebbero tramandato fino a oggi quel falso. Si tratta, in effetti, di versi assai brutti, ma dotati, come dire, di una assertività ritmica capace di renderli mentalmente indelebili. Io, tanti anni dopo la scuola media, me li sento ancora rimbombare ogni tanto nella memoria.
    Suppongo che Umberto Bossi, che deve avere – più o meno – la mia stessa età, li abbia dovute imparare a memoria anche lui e non trattandosi notoriamente di un uomo di lettere capace che gli siano anche piaciuti. Questo spiegherebbe gli sforzi che, a quanto si dice, il boss padano ha prodigato per far realizzare, in gran parte a spese pubbliche, una propria rievocazione dei fatti, vale a dire quel film che, dopo la solenne première al Castello Sforzesco, è giunto tre giorni fa nelle sale e si appresta a dilagare in televisione. Io, per ora, non l'ho visto e frequento così poco i cinema che dubito che lo andrò mai a vedere. Mi dicono che rappresenti un caso da manuale di rapporto inverso tra mezzi profusi e risultati ottenuti, ma non intendo imporvi un giudizio di seconda mano. Può anche darsi che là dove il Carducci ha clamorosamente fallito, Renzo Martinelli si sia dimostrato narratore sommo, che l'opera sia destinata a passare alla storia del cinema come il Via col vento del XXI secolo e che la pur breve apparizione del Bossi in mantello da cavaliere faccia impallidire il ricordo di Clark Gable in uniforme confederata. Diciamo che solo in Italia poteva accadere che si girasse un film per compiacere il maggior alleato del partito di governo e non parliamone più. Sì, l'interpretazione dei fatti può essere per qualche verso discutibile, ma il cinema non è tenuto allo scrupoloso rispetto della realtà storica e si sa che i leader della Lega (nel senso di Bossi, non di Alberto da Giussano) non si sono mai lasciati intimidire da certe minutiae e, come a suo tempo si sono inventati ex novo una patria – la Padania – e una religione – il culto del Po, – oggi possono ben appropriarsi di un episodio storico inventato da altri.
    Fa un po' impressione, se mai, il fatto che un mito elaborato per promuovere la causa dell'unità nazionale venga oggi riesumato in gloria di un'organizzazione separatista. Tuttavia i miti sono fatti apposta per essere riciclati, quello di indipendenza è un concetto relativo e nulla vieta che i discendenti di chi si ribellò un tempo al Barbarossa nutrino oggi gli stessi sentimenti a riguardo di Roma ladrona. Eppure Roma ladrona, per l'occasione, ha cacciato un sacco di soldi, i suoi principali ministri si sono spellate le mani all'anteprima e lo stesso Bossi, com'è noto, riveste un ruolo importante nell'odiato governo centrale. Il che è un po' come se a suonare la campanella del Carroccio, nel 1176, ci fosse stato uno stretto collaboratore della casa di Hohenstaufen. Pazienza: non vorrete mica avere paura dei paradossi?
11.10.'09