Spero che non abbiate niente in contrario
se, contrariamente al solito, torno su un argomento di cui ci siamo occupati
soltanto un paio di settimane fa. Ma dopo aver letto, sul “Corriere”
di mercoledì scorso, la dichiarazione con cui l’ambasciatore egiziano
all’ONU, tale Ahmad Aboulghait, commentava la capitolazione europea in
sede di Nazioni Unite sulla moratoria delle esecuzioni capitali, proprio
non ne posso fare a meno.
Non
vi preoccupate, comunque. Non intendo rovinarvi la domenica mattina
discettando sulla pena di morte. È un argomento, quello, su cui ho
da tempo rinunciato a discutere, dopo aver verificato l’impossibilità
di trovare un interlocutore che, in difesa di quella barbara usanza, potesse
accampare degli argomenti sia pur vagamente razionali. Con gli anni
mi sono reso conto che la difesa della pena capitale, come la portano avanti
singoli e istituzioni, non ha in sé niente di razionale. È la pura
e semplice espressione delle pulsioni di morte che tutti nascondiamo al
livello profondo della nostra psiche. In altre parole, mi sono convinto
che i fautori della forca, della sedia elettrica o di quant’altro, quando
non si tratta di governi preoccupati soprattutto della propria autorità,
sono soltanto dei poveri esseri umani cui uccidere un altro essere umano,
in proprio o per interposta persona, alla fin fine piace moltissimo e che
cercano di ingannare il proprio Super io, che ha sviluppato, in merito,
delle opinioni diverse, affermando di farlo per la giustizia. In
definitiva, per usare un termine tecnico della sociologia, si tratta di
una manica di bastardi cui non possiamo che augurare di farsi essi stessi
quel male che godono nell’infliggere ad altri.
Non
ho capito bene come sia andata esattamente la vicenda del mancato voto
sulla moratoria all’ONU. Se non ho preso un abbaglio completo, i
paesi europei che avevano presentato la proposta l’hanno ritirata dopo
aver verificato l’impossibilità di farla approvare, a meno di accettare
un paio di emendamenti (dell’Egitto e di Singapore, mi sembra) che, affermando
il diritto dei singoli paesi di non accettare dalle Nazioni Unite ingerenze
di nessun tipo, in pratica ne avrebbero vanificato gli effetti. Su
questa scelta europea, naturalmente, si possono esprimere giudizi diversi,
vedendola come un’inutile, astratta manifestazione di integralismo umanitario
oppure, se si preferisce, come la sagace decisione di chi si è stancato
di votare solennemente delle petizioni di principio che lasciano esattamente
il tempo che trovano. Certo, anche le petizioni di principio sono
necessarie, a volte, ma la storia dell’ONU ce ne ha inflitto tante da
stomacarci un po’.
Mi
direte, forse, che anche il punto di vista dell’Egitto e di Singapore,
tutto sommato, lo si può capire. La proposta di moratoria veniva
da un gruppo di paesi occidentali e la vicenda del Kosovo ha insegnato
a tutti che cosa ci si può aspettare dalle ingerenze dell’Occidente, anche
se compiute in nome dei più nobili principi umanitari. Ma ammetterete
che fa un certo effetto leggere che l’ambasciatore egiziano ha esaltato
il risultato ottenuto (quello, in pratica, di non far passare moratorie
di nessun tipo, per cui ogni paese potrà continuare a far fuori i propri
devianti in piena serenità) come una vittoria della civiltà e della tolleranza.
“Per una società islamica come la nostra” ha detto “il rispetto
delle differenze culturali è fondamentale. Ci siamo trovati contro
una coalizione di Paesi ricchi che cercavano di imporci i propri valori.
Come se in virtù del proprio benessere si sentissero legittimati
a imporsi sui meno fortunati.”
Ora,
credo che si possa pacificamente convenire che i governanti della maggior
parte dei paesi proponenti, se non di tutti, meritano a pieno titolo l’inclusione
nella categoria dei bastardi di cui sopra. Ma nessuno ignora
che nel Terzo Mondo i paesi islamici, per non dire degli altri, dal ricco
Occidente hanno tranquillamente assunto, quando ai loro governanti faceva
comodo, valori e istituzioni a manetta: dal nazionalismo allo sfruttamento
industriale, dal disprezzo per l’ambiente al prestito a interesse, pratica
che è espressamente vietata dal Corano, ma siccome prendere quel divieto
sul serio renderebbe impraticabile l’intero sistema bancario, allora chi
se ne frega. Ma a quanto pare, quando si tratta del diritto di accoppare
liberamente i propri sudditi, quei devoti credenti non accettano lezioni
da nessuno.
Già.
Ma perché dicevo che dell’argomento ci siamo già occupati da poco?
Be’, perché il problema è lo stesso di quello del chador: è quello
di come reagire quando qualcuno avanza la pretesa, in nome della propria
specificità culturale, di opprimere liberamente qualcun altro. Il
fatto che non sia giusto bombardarlo (il che peraltro succede, come abbiamo
visto, solo quando per bombardarlo ci sono ben altri motivi) non significa
che bisogna aiutarlo a fare il comodo suo.
Tutto,
d’altronde, si tiene. Sulla stessa pagina di giornale che riportava
le parole dell’ambasciatore egiziano, si riferiva dell’avvenuta esecuzione
in pubblico, in Afganistan, della condanna a morte di una donna. Era,
sembra, la prima volta che succedeva. E per non turbare il vasto
pubblico accorso a godersi lo spettacolo, tanto la disgraziata che hanno
ammazzato a colpi di kalashnikov in uno stadio, quanto le due aguzzine
che l’hanno trascinata in loco e messa in posizione, naturalmente, indossavano
la burqa, la versione afgana integrale del chador. Gli astanti, comunque,
si sono divertiti lo stesso.
21.11.’99