Nei libri gialli, si sa, gli investigatori
privati ne fanno di ogni. Risolvono come niente i casi più difficili,
correggono con grave rischio personale clamorose ingiustizie, a volte ripuliscono
dal crimine intere comunità, nonostante l’incapacità, l’indifferenza
o l’ostilità delle forze dell’ordine. Incarnano quello che Raymond
Chandler, nelle sue riflessione teoriche, chiamava “l’eroe necessario”,
la figura cui si poteva e doveva affidare quel “principio di redenzione”
del quale, a suo avviso, non poteva fare a meno l’opera d’arte. L’esistenza
di siffatti personaggi contraddiceva, in parte, le istanze di realismo
che a quell’autore erano care, ma permetteva, in compenso, a lui e ai
suoi colleghi di costruire la trama a partire da una riconoscibile contrapposizione
di tipo etico valoriale, una cosa che, nella narrativa popolare, come si
sa, aiuta sempre.
Sul
ruolo e la funzione di quei professionisti esiste, tuttavia, un’altra
scuola di pensiero, che gli autori di mysteries citano soprattutto per
smentirla, ma che al di fuori del mondo del giallo sembra prevalere. È
quella per cui il loro principale campo d’interesse sarebbe costituito,
per così dire, dalle corna. Il detective, secondo questa interpretazione,
passa gran parte del suo tempo a seguire furtivo i movimenti di adulteri
e adultere vari, col fine di fissare su pellicola o registrare su nastro
la testimonianza dei loro illeciti accoppiamenti, risparmiando alla parte
lesa ogni condanna all’esborso di assegni alimentari nel successivo processo
di divorzio. Un’attività, sotto ogni punto di vista, assai squallida,
che soltanto pochi esemplari riescono a riscattare scoprendo inopinatamente
uno o più cadaveri e passando d’ufficio nei ranghi della categoria precedente.
E anche su di loro, comunque, continuerà a pesare una certa disapprovazione
sociale, il biasimo che spetta a chi si intromette per motivi mercenari
nelle faccende altrui. Persino all’irreprensibile Pepe Carvalho
capita, almeno nelle traduzioni italiane dei suoi romanzi, di essere definito
con disprezzo un “annusapatte”.
Personalmente,
frequento gli investigatori privati soltanto sui libri e non saprei dirvi
di che cosa si occupano nella vita vissuta. Ma mi ha incuriosito
leggere, su uno degli ultimi numeri dell’ “Espresso”, di una terza possibile
tipologia professionale che li riguarda. Sembra, infatti, che a New
York si sia aperto alla categoria un nuovo, lucroso mercato. Da quando
si è diffusa l’abitudine, per i giovanotti e le giovanotte rampanti di
quella città di “uscire” (di incontrarsi di persona per la serata) con
delle controparti altrimenti ignote conosciute chattando su Internet, le
occasioni di impegno professionale per gli eredi della Pinkerton si sono
accresciute di molto. Capirete, sul web si fa in fretta a raccontare
un mucchio di balle, a dichiararsi ricchi, belli, gagliardi e liberi da
qualsiasi impegno familiare, ma non è detto che tutto ciò debba essere
confermato nell’incontro de visu, per non dire della possibilità di imbattersi
in maniaci sessuali vari, rapinatori professionisti o aspiranti serial
killer. Per cui, s’impone la previa consultazione dell’investigatore
privato. Come ha dichiarato al “New York Post” tale Skipp Porteous,
della Sherlock Investigations, bastano 500 dollari (meno di 400 euro) per
disporre di un rapporto completo ed esauriente, in base al quale decidere
se mantenere o meno l’appuntamento. I più prudenti potranno anche
valersi, per 200 dollari l’ora, di una scorta discreta, che li proteggerà
per tutta la durata dell’incontro, pronta a intervenire qualora l’aspirante
partner si rivelasse per qualche verso indesiderabile.
Niente
da eccepire, naturalmente. Anzi, rispetto all’usanza di ricorrere
all’investigatore quando si deve divorziare, quella di servirsene al momento
di far conoscenza può essere considerata, da un certo punto di vista, un
progresso. Eppure è difficile non pensare che un simile modo di
procedere comporti, come minimo, qualche elemento di contraddizione. In
fondo, quando si decide di “uscire” per la prima volta con qualcuno o
qualcuna che non si conosce si possono assumere due atteggiamenti distinti.
Se si opta per la sicurezza, be’, allora si sceglie la vicina di
pianerottolo, il cugino della cognata o qualche altra figura parimenti
garantita: i rischi, salvo imprevisti, saranno ridotti al minimo. Oppure,
se si intende privilegiare il brivido dell’ignoto e il fascino del mistero,
ci si butta, ricorrendo appunto ai siti di dating, alle chat, agli annunci
personali e a simili ormai diffusissimi dispositivi. Si può anche
decidere, a questo punto, di uscire da soli, per vedere chi ci capiterà
di incontrare e credo che questa soluzione sia ancora la preferita da molti.
Sì, è vero, il mondo è infido e crudele e in questi casi c’è sempre
il rischio di farsi ritrovare, il giorno dopo, accoltellati in un fosso,
ma non è detto che con il vicino di pianerottolo o la cugina del cognato
debba andare tutto liscio comunque e del resto, come osservò Dashiell Hammett
in un celebre passaggio del Falcone maltese, anche alla persona più prudente
può capitare di essere colpito per accidente da una trave caduta da un’impalcatura.
Ir realtà, quella di volersi assicurare
su entrambi i fronti del dilemma, di godere di un mistero protetto, o di
un rischio garantito, è una pretesa non solo contraddittoria, ma francamente
eccessiva. L’ignoto è ignoto proprio perché non sappiamo che cosa
ci riserva e non è possibile affrontarlo sulla base di una relazione preliminare,
fosse pure stilata congiuntamente da Sherlock Holmes e Philip Marlowe.
È vero, probabilmente, che non si dovrebbe ricorrere all’azzardo
per la scelta di un partner, sia pure per una serata, ma è altrettanto
vero che nemmeno l’azzardo si può, al tempo stesso, includere ed escludere
dalla nostra vita. È una contraddizione, questa, che neanche la paranoia
della vita contemporanea dovrebbe consentire.
07.06.’07