Incontri protetti

La caccia | Trasmessa il: 01/07/2007



Nei libri gialli, si sa, gli investigatori privati ne fanno di ogni.  Risolvono come niente i casi più difficili, correggono con grave rischio personale clamorose ingiustizie, a volte ripuliscono dal crimine intere comunità, nonostante l’incapacità, l’indifferenza o l’ostilità delle forze dell’ordine.  Incarnano quello che Raymond Chandler, nelle sue riflessione teoriche, chiamava “l’eroe necessario”, la figura cui si poteva e doveva affidare quel “principio di redenzione” del quale, a suo avviso, non poteva fare a meno l’opera d’arte.  L’esistenza di siffatti personaggi contraddiceva, in parte, le istanze di realismo che a quell’autore erano care, ma permetteva, in compenso, a lui e ai suoi colleghi di costruire la trama a partire da una riconoscibile contrapposizione di tipo etico valoriale, una cosa che, nella narrativa popolare, come si sa, aiuta sempre.
        Sul ruolo e la funzione di quei professionisti esiste, tuttavia, un’altra scuola di pensiero, che gli autori di mysteries citano soprattutto per smentirla, ma che al di fuori del mondo del giallo sembra prevalere.  È quella per cui il loro principale campo d’interesse sarebbe costituito, per così dire, dalle corna.  Il detective, secondo questa interpretazione, passa gran parte del suo tempo a seguire furtivo i movimenti di adulteri e adultere vari, col fine di fissare su pellicola o registrare su nastro la testimonianza dei loro illeciti accoppiamenti, risparmiando alla parte lesa ogni condanna all’esborso di assegni alimentari nel successivo processo di divorzio.   Un’attività, sotto ogni punto di vista, assai squallida, che soltanto pochi  esemplari riescono a riscattare scoprendo inopinatamente uno o più cadaveri e passando d’ufficio nei ranghi della categoria precedente.  E anche su di loro, comunque, continuerà a pesare una certa disapprovazione sociale, il biasimo che spetta a chi si intromette per motivi mercenari nelle faccende altrui.  Persino all’irreprensibile Pepe Carvalho capita, almeno nelle traduzioni italiane dei suoi romanzi, di essere definito con disprezzo un “annusapatte”.
        Personalmente, frequento gli investigatori privati soltanto sui libri e non saprei dirvi di che cosa si occupano nella vita vissuta.  Ma mi ha incuriosito leggere, su uno degli ultimi numeri dell’ “Espresso”, di una terza possibile tipologia professionale che li riguarda.  Sembra, infatti, che a New York si sia aperto alla categoria un nuovo, lucroso mercato.  Da quando si è diffusa l’abitudine, per i giovanotti e le giovanotte rampanti di quella città di “uscire” (di incontrarsi di persona per la serata) con delle controparti altrimenti ignote conosciute chattando su Internet, le occasioni di impegno professionale per gli eredi della Pinkerton si sono accresciute di molto.  Capirete, sul web si fa in fretta a raccontare un mucchio di balle, a dichiararsi ricchi, belli, gagliardi e liberi da qualsiasi impegno familiare, ma non è detto che tutto ciò debba essere confermato nell’incontro de visu, per non dire della possibilità di imbattersi in maniaci sessuali vari, rapinatori professionisti o aspiranti serial killer.  Per cui, s’impone la previa consultazione dell’investigatore privato.  Come ha dichiarato al “New York Post” tale Skipp Porteous, della Sherlock Investigations, bastano 500 dollari (meno di 400 euro) per disporre di un rapporto completo ed esauriente, in base al quale decidere se mantenere o meno l’appuntamento.  I più prudenti potranno anche valersi, per 200 dollari l’ora, di una scorta discreta, che li proteggerà per tutta la durata dell’incontro, pronta a intervenire qualora l’aspirante partner si rivelasse per qualche verso indesiderabile.
        Niente da eccepire, naturalmente.  Anzi, rispetto all’usanza di ricorrere all’investigatore quando si deve divorziare, quella di servirsene al momento di far conoscenza può essere considerata, da un certo punto di vista, un progresso.   Eppure è difficile non pensare che un simile modo di procedere comporti, come minimo, qualche elemento di contraddizione.  In fondo, quando si decide di “uscire” per la prima volta con qualcuno o qualcuna che non si conosce si possono assumere due atteggiamenti distinti.  Se si opta per la sicurezza, be’, allora si sceglie la vicina di pianerottolo, il cugino della cognata o qualche altra figura parimenti garantita: i rischi, salvo imprevisti, saranno ridotti al minimo.  Oppure, se si intende privilegiare il brivido dell’ignoto e il fascino del mistero, ci si butta, ricorrendo appunto ai siti di dating, alle chat, agli annunci personali e a simili ormai diffusissimi dispositivi.  Si può anche decidere, a questo punto, di uscire da soli, per vedere chi ci capiterà di incontrare e credo che questa soluzione sia ancora la preferita da molti.  Sì, è vero, il mondo è infido e crudele e in questi casi c’è sempre il rischio di farsi ritrovare, il giorno dopo, accoltellati in un fosso, ma non è detto che con il vicino di pianerottolo o la cugina del cognato debba andare tutto liscio comunque e del resto, come osservò Dashiell Hammett in un celebre passaggio del Falcone maltese, anche alla persona più prudente può capitare di essere colpito per accidente da una trave caduta da un’impalcatura.
Ir realtà, quella di volersi assicurare su entrambi i fronti del dilemma, di godere di un mistero protetto, o di un rischio garantito, è una pretesa non solo contraddittoria, ma francamente eccessiva.  L’ignoto è ignoto proprio perché non sappiamo che cosa ci riserva e non è possibile affrontarlo sulla base di una relazione preliminare, fosse pure stilata congiuntamente da Sherlock Holmes e Philip Marlowe.  È vero, probabilmente, che non si dovrebbe ricorrere all’azzardo per la scelta di un partner, sia pure per una serata, ma è altrettanto vero che nemmeno l’azzardo si può, al tempo stesso, includere ed escludere dalla nostra vita.  È una contraddizione, questa, che neanche la paranoia della vita contemporanea dovrebbe consentire.

07.06.’07