In che mani

La caccia | Trasmessa il: 01/09/2005



Confesso che, quando, la notte del 31 dicembre, ha cominciato a circolare la notizia dell’attacco a colpi di treppiede al Presidente del Consiglio, non mi sono affrettato a scandalizzarmi come tanti altri compagni preoccupati della rispettabilità della sinistra, compresi, mi dicono, i conduttori della nostra radio.  Sì, è una vita che mi considero nonviolento, ma una volta accertata la pochezza dei danni inferti e subiti e appurato che l’episodio rientrava più nei canoni dell’euforia da alcool che in quelli della cospirazione politica, be’, mi era sembrato che un mezzo sorriso ce lo si potesse permettere.  Il principio per cui qualsiasi trasgressione ai codici della morale va trattata con la stessa severità, a prescindere dalla portata e dalle conseguenze, perché nulla distingue, dal punto di vista etico, il furto di uno spillo dalla rapina a Fort Knox, è uno di quei “paradossi degli stoici” sui quali già gli antichi erano perplessi e che Cicerone, tra gli altri, ebbe modo di confutare.   E se non è il caso di presumere che abbia familiarità con Cicerone gente come Bondi e Cicchitto, che su tesi del genere un poco si sono azzardati, qualcosa di più avremmo potuto aspettarci dai leader della nostra coalizione, almeno da quelli che vantano un titolo accademico.  Ma probabilmente erano tutti troppo occupati a discutere con Mastella.
        Bondi e Cicchitto, peraltro, nell’ansia di ribaltare sullo schieramento avverso tutto la responsabilità di quel povero episodio, hanno evocato l’immagine di una sinistra talmente accecata dall’odio antiberlusconiano da cadere preda di una vera e propria coazione al male, di una sorta di irresistibile frenesia di nuocere.  Ora, non c’è chi non veda quanto questa interpretazione sia lontana dalla realtà.  La sinistra sarà anche accecata dall’antipatia per il Cavaliere – e, francamente, è difficile darle torto – ma l’unico male che riesce a produrre ogni volta è quello che fa a se stessa.  L’atteggiamento generale dell’ulivista medio in materia, se permettete, mi sembra pericolosamente simile a quello dello stesso aggressore di piazza Navona, che, svaniti i fumi dell’alcool, è passato in un amen dal virile “Io l’odio” con cui aveva, all’inizio, motivato il suo gesto, a quel flebile “Non so cosa mi ha preso, mi scusi” che ha offerto all’uomo di Arcore la preziosa occasione di mostrarsi, ancora una volta, magnanimo.  Perché, sarà un caso, ma ogni volta che si manifestano frizioni di questo tipo, lui ne esce sempre benissimo e noi restiamo, qual più qual meno, in braghe di tela.
        Certo, a ciò ci aiutano in molti.  Per esempio quel magistrato che, pur rivestendo qualche responsabilità negli organi rappresentativi della sua corporazione e pur essendosi abbastanza esposto, in passato, nelle polemiche con il governo, ha sentito, pare, il bisogno di trasmettere ad amici e conoscenti non so quale sms in cui si scherzava sul fatto.  E il problema, naturalmente, non sta nello scherzo, che è sempre lecito (e poi potrebbe aver letto Cicerone anche lui), ma nella scelta dei destinatari, uno dei quali, evidentemente, doveva essere abbastanza infido da girare seduta stante quel testo a un deputato di AN, con tutte le conseguenze del caso.  Basterebbe un errore di valutazione del genere per farci concordare con quanti hanno consigliato a quel giudice di dare alla svelta le dimissioni.  Ma non sembra, ahimè, che abbia intenzione di farlo, né che gli siano giunti, da parte degli oppositori del ministro Castelli, consigli in tal senso.  La magistratura, si sa, non sbaglia mai.  In che mani siamo caduti, amici, in che mani.

09.01.’05