Imputazioni di tirannide

La caccia | Trasmessa il: 05/26/2002



A proposito di tirannide.  Non vi sarà sfuggito come l’occasione di liberarsi da ogni imputazione in tal senso Berlusconi se la sia vista offrire su un piatto d’argento dal regista Ronconi, con la sua strana idea di arricchire una messa in scena delle Rane di Aristofane al teatro greco di Siracusa esponendo certe caricature del capo del governo e di altri esponenti della sua parte politica.  La cosa, ricorderete, aveva indignato due membri abbastanza autorevoli di “Forza Italia”, con la conseguente rimozione delle immagini contestate e il successivo intervento del Premier che, graziosamente, acconsentiva a che fossero rimesse in loco.  Concessione di cui i teatranti, tra parentesi, si sono ben guardati dall’approfittare, perché se a un artista una censura ogni tanto non può che fare del bene, l’autocensura rimane sempre uno dei metodi più efficaci per restare sulla cresta dell’onda.   Ma non è questo, naturalmente, il problema.
        Il problema è che l’episodio ha dimostrato come nessuno dei suoi protagonisti, a partire dalla ministra Prestigiacomo e dal sottosegretario Miccichè, che lo hanno innescato, avesse la minima idea, non dirò su chi fosse Aristofane, che forse è troppo, ma sul significato del suo teatro certamente sì.   E se è vero che l’ignoranza delle cose classiche nel paese è più diffusa di quanto si pensi, come vi può garantire chi, come me, ha speso una vita nel vano tentativo di spezzare il pane della cultura greca e latina a generazioni di studenti riottosi, è anche vero che chi siede al governo dovrebbe fare lo sforzo, come minimo, di non esibirla.  
        Perché, come si fa, santiddio, a sostenere, come mi sembra abbia fatto appunto l’onorevole Miccichè, che Aristofane attaccava i tiranni, non i governanti eletti democraticamente?   È vero che non è tanto facile comprendere la produzione drammatica antica quando ci viene riproposta sulle scene di oggi, al di fuori del suo contesto rituale e civile, e che le difficoltà aumentano quando i registi, com’è loro malvezzo, caricano la messa in scena di riferimenti ai problemi contemporanei, ma, insomma, che Aristofane i governanti eletti democraticamente non li potesse soffrire lo si può leggere su qualsiasi bigino.   A lui i tiranni, in sostanza, piacevano.   Anche se non sarebbe corretto definirlo un uomo di destra, visto che ai suoi tempi la destra e la sinistra, in senso politico, non erano state ancora inventate, è largamente noto che poche cose lo facevano imbufalire quanto la democrazia.  Nelle Rane, che furono presentate alle Lenee del 405 a.C., la parabasi (quella parte della commedia in cui i coristi, rompendo la finzione scenica, depongono la maschera e danno voce direttamente alle opinioni dell’autore) è dedicata a una perorazione della “concordia”, che significa, in pratica, la richiesta di riabilitare i promotori del colpo di stato aristocratico del 411: una proposta che non dovrebbe suonar male alle orecchie di chi si batte per la par condicio tra i partigiani e i ragazzi di Salò.   Se gli onorevoli  Micciché e Prestigiacomo, che non so se abbiano fatto o meno il liceo classico, ma appartengono comunque a un governo che del mantenimento di quel tipo di scuola si è fatto un punto d’onore, avessero tratto profitto dai loro studi, saprebbero senza tema di errore che essere svillaneggiati in una commedia di Aristofane, anche nella forma mediata di una caricatura esposta in scena, è garanzia inoppugnabile di spirito democratico e devozione agli interessi popolari.
        Ma il problema, ahimè, è sempre lo stesso.  Non studiano: questi ragazzi non studiano.  Non capiscono che, anche se uno può diventare sottosegretario o ministro, il rischio di fare uno scivolare su Aristofane lo correrà sempre.   Perché poi il Berlusca ci fa la bella figura di chi la censura non sa neanche cos’è, il Ronconi e l’Escobar si fanno un mucchio di pubblicità a gratis, come se ne avessero bisogno, e quelli che hanno scatenato tutto l’ambaradàn si ritrovano con la nomea di censori in pectore e, come se non bastasse, ignoranti.  Un’ingiustizia della quale speriamo che il loro leader voglia risarcirli, elevandoli quanto prima a responsabilità anche più alte di quelle attuali.  Ma, per favore, non alla direzione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico.

26.05.’02