Immagini prenatalizie

La caccia | Trasmessa il: 12/07/2003




Si avvicinano inesorabilmente le feste e anche quest’anno, come di consueto, il titolare della vicina parrocchia si è presentato nel condominio dove abito per la benedizione degli appartamenti.  Io, per fortuna, ero assente.  Dico “per fortuna” perché i miei incontri con quel degno esponente del clero, sono sempre stati segnati, per un verso o per l’altro, dall’imbarazzo.  Capirete: in teoria, visti i miei impegni ideologici in materia ecclesiastica, dovrei, se non proprio sguinzagliargli addosso i cani, almeno intimargli di non mettere piede in casa mia e di tenersene alla larga in futuro; in pratica – trattandosi di persona anziana, cui mi legano, tra l’altro, delle consuetudini familiari – mi spiacerebbe un po’ mostrarmi scortese nei suoi riguardi.  E poi quella delle benedizione delle case, tutto sommato, è una tradizione gentile, nonché uno dei pochi momenti non strettamente mercantili di tutto l’ambaradàn natalizio.  Insomma, non so mai come comportarmi, e se non mi basta, naturalmente, il preannuncio della sua visita per darmela a gambe (sarebbe una reazione poco dignitosa), diciamo che se all’ora indicata dal solito cartellino affisso sulla porta dell’ascensore mi trovo ad avere da fare altrove, non mi affretto certo a rientrare.
       Quest’anno, comunque, è andato tutto bene.  Io non c’ero, lui è venuto, ha fatto quel che doveva fare e si è lasciato dietro, come usa, un’immaginetta.  Anche quella delle immaginette, vi dirò, è una consuetudine per cui ho una certa tolleranza.  Con i loro colori vivaci e l’iconografia ingenua che le contraddistingue, quei pezzetti di carta esprimono – mi sembra – l’idea di una religiosità d’altri tempi, di una fede innocua che mi riporta , non so neanche io esattamente perché, ai giorni della mia infanzia.  I santini che quel vecchio prete distribuiva erano, da sempre, quelli con l’immagine del Divino Bambino di Praga, una dolce figura infantile incoronata e avvolta in vesti preziose, secondo una tipologia nettamente barocca, e, anche se non saprei spiegarvi quali rapporti spirituali intrattenga con la capitale céca la parrocchia del mio quartiere, avevo finito per affezionarmici.  Che volete, gli impegni ideologici sono impegni ideologici, non ci piove, ma con il tempo si diventa tutti sentimentali.
       Stavolta, però, l’iconografia proposta è tutta diversa.  Invece dell’immaginetta in rosso azzurro e oro che mi aspettavo, ho trovato in anticamera un orrendo calendarietto plastificato in quadricromia, sulla cui copertina fa mostra di sé, su uno sfondo azzurro cielo piuttosto melenso, il fotocolor di madre Teresa di Calcutta, completato con una scritta benedicente in lingua inglese tracciata con quella che suppongo fosse la sua grafia.  E, francamente, ci sono restato male.
       Intendiamoci.  Non ho nulla, proprio nulla contro la venerata figura di quella religiosa.  Anche se non oserei affermare di condividere al cento per cento i suoi criteri di intervento contro la miseria del Terzo Mondo, ne ho ammirato a suo tempo la dedizione e non mi sognerei di parlarne in termini meno che rispettosi.  Eppure…   eppure, che volete che vi dica, mentre l’idea di essere posto idealmente sotto la protezione del Divino Bambino di Praga toccava, non so come, qualche corda nel mio cuore di vecchio miscredente, mi sono accorto che a una benedizione da parte di madre Teresa, istintivamente, rilutto.   Il che è irrazionale, me ne rendo conto, perché un laico di buon senso non dovrebbe trovare niente di cui compiacersi nell’immagine di un fanciullo in paramenti regali, specialmente nell’occasione di un ciclo di feste che ne celebra la nascita in un’umile stalla, mentre dovrebbe, se non altro, riconoscere l’impegno e il disinteresse umano di chi, concretamente, ha tanto operato a vantaggio di un certo numero di nostri sfortunati fratelli.  Suppongo, anzi, che sia in base a un ragionamento del genere che i responsabili della parrocchia hanno deciso di cambiare l’iconografia del loro santino natalizio.  Mettiamoci qualcosa di moderno, si saranno detti, qualcosa cui nessuno possa obiettare, qualcosa che faccia capire a tutti, laici e mangiapreti compresi, che la Chiesa è in prima fila contro i mali di questo mondo, che i suoi esponenti, anzi, agiscono concretamente laddove gli altri si limitano a vane chiacchiere e auspici.  E sono caduti, fatalmente, sull’immagine dell’inquietante religiosa kosovara che il papa ha da poco proposto alla gloria degli altari.
       Non è affar mio, naturalmente, ma secondo me si sono sbagliati. Nell’immagine di madre Teresa, oggi, difficilmente si potrebbe leggere un messaggio di fratellanza tra i devoti e gli scettici.  Non è colpa sua, naturalmente, non credo che la cosa le interessasse in modo particolare, ma oggi la sua figura è soprattutto un’immagine mediatica, una sorta di frutto avvelenato della vera e propria ossessione in tal senso che, a quanto pare, domina ai vertici della chiesa.  In quanto tale, non può che proporre alle masse un modello di cristianesimo aggressivo e fattuale, che, compiaciuto (se non proprio soddisfatto) dei propri risultati, non accetta mediazioni con il mondo laico e con le altre realtà spirituali, ma dovunque propone sempre e soltanto se stesso.  Il che sarebbe naturale, ovvio, persino, se non si trattasse, il più delle volte, di un se stesso tetragono, irremovibile e irriducibile di fronte a qualsiasi pur, ragionevole, suggerimento.  È il cattolicesimo, per fare qualche esempio riconducibile ai problemi del Terzo Mondo, del bando ai profilattici in presenza dell’AIDS, dell’esclusività del sacerdozio maschile, della reazione scandalizzata alla prospettiva di pastori gay, del bando assoluto alla teologia della rivoluzione.  Il cattolicesimo wojtyliano, che della modernità ha una concezione rigidamente tecnologica e che alle ali dei jet, alle reti informatiche e – soprattutto – agli schermi televisivi affida la diffusione di un messaggio tradizionale di mortificazione e obbedienza.  Sarà stata una santa, madre Teresa, non ne dubito, anche se credeva, mi dicono, alla funzione rigeneratrice del dolore, ma da una santità che più che dalla devozione popolare nasce dalle campagne televisive tendo, istintivamente, a ritrarmi.
       Se mi sbaglio, naturalmente, spero che, se non lei, almeno il Divino Bambino di Praga mi perdoni.

07.12.’03