Strano paese, francamente, è l’Italia.
In poche altre parti del mondo il titolare della seconda carica dello
Stato si sarebbe potuto permettere, come ha fatto il nostro Presidente
del Senato alle 17,12 di giovedì scorso, ventidue minuti esatti dopo l’impatto
contro il grattacielo Pirelli del monomotore svizzero pilotato dal povero
signor Luigi Fasulo, di definire pubblicamente l’evento come “un attentato”,
per affidare, un quarto d’ora più tardi, la più banale e imbarazzata delle
smentite alla voce di un contrariatissimo vice. Il Ministro dell’Interno,
che il senatore Pera aveva chiamato in causa come fonte, si è limitato
a osservare, il giorno dopo, che il suo collega di partito si era comportato,
né più né meno, “come l’uomo della strada” di fronte alle drammatiche
immagini televisive di quel pomeriggio, ma appunto questo è il problema.
L’uomo della strada, nel senso di un cittadino qualunque, può permettersi
(fino a un certo punto) di dire la prima cosa che gli passa per la testa,
visto che con le sue esternazioni non corre il rischio di gettare nel panico
l’opinione pubblica, di far precipitare le borse mondiali e di provocare
l’immediata mobilitazione della difesa aerea e delle basi NATO dislocate
nel territorio. Il Presidente del Senato, evidentemente, no. L’autorevolezza
stessa della sua cattedra dovrebbe imporgli, se non altro, una doverosa
cautela. Nel caso in questione, avrebbe dovuto bastare la mancanza
di informazioni precise, anche a prescindere da qualsiasi considerazione
sulla plausibilità dell’ipotesi terroristica, per suggerirgli di tenere
le mascelle solidamente serrate. Non lo ha fatto e così si è aggregato
alla lista, tutt’altro che esigua, di quegli esponenti della maggioranza
che non riescono mai a cogliere una buona occasione per starsene zitti.
D’altronde,
bisogna anche capirlo. Marcello Pera, sebbene goda, non si capisce
bene perché, di una fama di fine giurista e statista di vaglia, non è,
in ultima analisi, che una delle tante nullità politiche che Berlusconi,
che non può occupare da solo, con tutta la buona volontà, la totalità dei
posti disponibili, si è dovuto trascinare appresso. E l’idea di
anticipare, per una volta, quello che il suo capo avrebbe detto senz’altro,
se solo gli avessero dato l’occasione di dirlo, deve essergli sembrata
irresistibile. Capirete: l’ipotesi di un bell’attentato, due giorni
dopo lo sciopero generale, nella piazza stessa in cui si è conclusa una
delle manifestazioni più imponenti dello sciopero stesso, su un fedele
esponente di “Forza Italia” non poteva che avere l’effetto che il tradizionale
drappo rosso produce sul toro infuriato. Berlusconi ha detto e ripetuto
tante di quelle volte che dalle proteste dell’opposizione e dei sindacati
non possono nascere altro che eversione e violenza, che ormai devono essersene
convinti anche i suoi più ragionevoli collaboratori. E visto che
il Premier, come lo chiamano, era troppo occupato a spiegare ai bulgari
le regole del pluralismo televisivo, e i suoi vice a Milano erano fuori
sede, impegnati, chi in India e chi in Canada, a rafforzare a spese della
cittadinanza la propria immagine internazionale, il Presidente del Senato
avrà pensato che l’occasione era troppo propizia per farsela scappare.
Gli è andata male, ma almeno ha fatto anche lui come il personaggio
di quello spot televisivo che di questi giorni miete tanto successo , quello
del “buonaseeera”: ha colto l’attimo.
Sto scherzando, naturalmente, ma forse
il tema non è di quelli su cui si debba troppo scherzare. L’Italia
è diventata, da molto prima che Berlusconi decidesse, come dice lui, di
“scendere in campo”, il paese degli attentati. Sono più di trent’anni,
dai giorni di piazza Fontana, che a ogni mobilitazione di massa importante,
a ogni sfida dal basso capace di mettere in crisi, o semplicemente di infastidire,
i detentori del potere, risponde un qualche brutto evento del genere. È
un meccanismo che si è ripetuto, ormai, con tanta tragica puntualità da
farsi, che la coscienza collettiva lo ha, in un certo senso, interiorizzato.
Giovedì scorso non era affatto necessario il ricordo, pur così suggestivo,
dell’11 settembre, perché tutti, uomini della strada e uomini del palazzo,
pensassero a un attentato. Ma è appunto in queste circostanze che
ci si aspetta che chi ha delle responsabilità si comporti in modo responsabile.
E di quanta responsabilità si possa far credito a certi figuri lo
si capisce da episodi come questo.
14.04.’02