Una delle immagini più persistenti nella
memoria, tra le tante che ci giungono dalla Baghdad sconvolta di questi
giorni, è quella di un iracheno di mezza età che esce da un edificio saccheggiato,
ministero, palazzo presidenziale, sede del Baath o altro che sia, stringendosi
al petto un enorme vaso blu e oro. Attorno, i suoi concittadini sono
impegnati a trasportare altri beni trafugati di ben più immediato interesse:
mobili, condizionatori, elettrodomestici, articoli di cancelleria, derrate
alimentari, persino gli infissi delle porte e delle finestre, ma lui è
troppo concentrato sul suo vaso per unirsi alla loro euforia. Si
allontana, barcollando sotto il peso, e lascia in chi ha assistito alla
scena il dubbio sul perché abbia scelto proprio quell’oggetto come bottino
e che cosa ne intenda fare, se gli sia piaciuto subito a prima vista, nel
senso che aveva sempre desiderato possedere un grande vaso blu e oro, o
se si sia dovuto accontentare dell’unico articolo tralasciato da chi era
arrivato prima e adesso chissà se sua moglie, al rientro, lo accoglierà
con un caloroso “Bravo! Che bel vaso che mi hai portato!” o con
un freddo “Cretino! Non potevi prendere un televisore?” È
una scena quasi comica, in aperto contrasto con tutte le altre che ci sono
giunte e ci giungono da quella città martoriata, ed è forse per questo
che ha colpito con tanta intensità la nostra immaginazione. Alle
immagini dei morti per strada, dei funerali, degli incendi, dei linciaggi,
degli ospedali devastati, nessuno ha ovviamente lo stomaco di tornare:
su quella di un ometto che si affanna a portarsi via un vaso più grande
di lui, anche se tecnicamente si tratta di un episodio di saccheggio, siamo
più disposti a soffermarci.
Neanche
quella del saccheggio, comunque, è una realtà su cui ci si sofferma
volentieri. Le scene che ci arrivano
da Baghdad, di fatto, danno fastidio a tutti, compresi quanti hanno voluto
o appoggiato la guerra, che non possono non sentirsi, come minimo, imbarazzati
di fronte a dei comportamenti che non sono quelli che ci si dovrebbe aspettare
da gente cui, dal loro punto di vista, è stata finalmente elargita la democrazia.
E chi invece, a torto o a ragione, aveva investito qualche speranza
nella capacità di resistenza degli iracheni non può provare una grande
soddisfazione di fronte a questo improvviso scatenarsi di avidità e pulsioni
di distruzione. Come se, in un momento drammatico qual è quello dell’occupazione
di una città e della caduta di un regime, dal popolo in nome del quale
entrambe le parti hanno dichiarato di voler combattere ci si attendesse
una migliore prova di sé e non lo si volesse abbassato al livello di una
turba impazzita che arraffa quello che può senza pensare al futuro.
Ma
queste, probabilmente, sono soltanto le ultime riserve mentali cui si aggrappa
chi ancora non è riuscito a rendersi conto di che cosa la guerra effettivamente
sia. Perché basta andare un poco al di là delle belle parole di cui
è tanto facile ammantarsi per rendersi conto che guerra e saccheggio sono
soltanto le due facce della stessa medaglia. Le guerre, lo sappiamo
tutti, sono state inventate con lo scopo preciso di saccheggiare i paesi
altrui e a tal fine, checché se ne dica, sono sempre state combattute.
Che cosa credete che intendano fare gli americani del petrolio iracheno?
E di fronte alla prospettiva di vedere passare in mano altrui il
controllo delle risorse del proprio paese, come dovrebbero comportarsi,
oggi, i cittadini delle città appena uscite dai bombardamenti? Il
vero saccheggio non è ancora cominciato e non saranno certo loro a beneficiarne.
A loro, per ben che gli vada, resterà soltanto un inutile vaso blu.
Anche quella scena che ci era sembrata comica, a pensarci bene, non
è poi così divertente.
13.04.’03