Spero che vi siate tutti compiaciuti
dalla notizia, pubblicata con rilievo da “Repubblica” mercoledì scorso,
che papa Wojtyla, ricevendo, giorni fa, i componenti della Commissione
teologica internazionale, li ha invitati a ripensare, “in nome di una
prassi pastorale più illuminata”, la questione del Limbo. Una missione
gravosa, tanto è vero che i dotti commissari, pur con il vantaggio di essere
presieduti dall’instancabile cardinale Ratzinger, prevedono di non potere
produrre i primi risultati prima di tre quattro anni, ma ormai indifferibile.
In questi tempi turbati, ammetterete anche voi che la mancanza di
una parola definitiva sul tema della destinazione finale dei bambini non
battezzati e degli altri illustri ospiti tradizionali del Limbo è un fattore
non indifferente di inquietudine e di incertezza.
A
me, che pure non seguo il dibattito teologico con l’attenzione che dovrei,
la notizia è sembrata degna di nota per più motivi. Il primo è che
è consolante, in giorni in cui gli uomini di fede sembrano occuparsi soprattutto
di questioni che esulano dalla loro specifica competenza e quando, per
il loro stesso bene, li si invita a lasciar perdere rispondono che ai loro
danni lobbies potenti organizzano una “nuova santa inquisizione” (un’argomentazione
per accampare la quale serve, ne converrete, una discreta faccia di bronzo),
è consolante, dunque, apprendere che il pontefice raccomanda a un gruppo
di ecclesiastici di fare, una volta tanto, il loro mestiere, occupandosi
finalmente di teologia. Ed è consolante la prospettiva che il loro
esempio possa essere seguito da quanti più intellettuali possibile di quell’area
culturale. Se, per esempio, ai lavori della Commissione decidesse
di partecipare, sottraendosi ai suoi controversi impegni europei, il ministro
Buttiglione, che oltre a essere uomo di fede è – dicono – filosofo sommo,
il vantaggio sarebbe duplice e si riverbererebbe, non che sulla chiesa,
sulle stessea istituzioni comunitarie.
Ciò
premesso, devo confessarvi che la prospettiva di una cancellazione del
Limbo dal catechismo (perché a questo, stringi stringi, sembra doversi
ridurre il ripensamento auspicato dal papa) non mi lascia particolarmente
entusiasta. Tra tutti i luoghi (o i non luoghi) dell’oltretomba
previsti dalla dottrina corrente, il Limbo mi è sempre sembrato, forse
per quel suo carattere di terzarietà che tanto si accorda con le mie propensioni
naturali, uno dei più interessanti. È vero che la sua esistenza trova
ben pochi riscontri nelle Scritture e che nessuno sembra avere sentito
il bisogno di postularla prima del decimo undicesimo secolo d. C., tanto
da far sorgere il sospetto che si tratti soprattutto di un sanatore inventato
per dribblare le aporie della dottrina agostiniana della salvezza – nel
senso che, una volta deciso che non era possibile aprire il paradiso ai
non battezzati, l’idea di mandare tout court all’inferno tutti gli innocenti
e i giusti extra Ecclesiam sembrava, come dire, un po’ troppo radicale
– ma tutto questo non toglie che si trattasse di un’ipotesi oltremodo
rassicurante. Per i tipi come me, ovviamente desiderosi di evitare,
a suo tempo, le pene dell’inferno, ma turbati al tempo stesso dall’idea
di trovare in paradiso un ambiente poco congeniale quanto a valori e frequentazioni,
la prospettiva del limbo poteva essere una di quelle da farci, come si
diceva una volta, la firma. In fondo, oltre ai bambini non battezzati
e ai dotti pagani, nel Limbo trovavano posto tante altre degne persone
– Dante, forzando un po’ la mano ai suo testi, era riuscito a farci entrare
di straforo persino il Saladino – e l’idea che potesse esserci anche
un posticino per te, un luogo di eterno riposo cui accedere senza sottostare
alla disciplina e alla precettistica dell’istituzione chiesastica, non
poteva che fare piacere.
Ahimè.
È destino di tutti i sanatori quello di venire scartati, presto o
tardi, a favore di altri per qualche verso più soddisfacenti: è la sostanza
stessa, secondo alcuni, della storia del pensiero umano, teologia inclusa.
Oggi del Limbo la dottrina cattolica non ha più bisogno, perché,
con i tempi che corrono, non può permettersi una dottrina della salvezza
rigorosa come quella che all’invenzione di quel “terzo luogo” aveva
portato. Si sa che la pratica dei sacramenti declina, che di battezzati
in giro ce ne sono sempre meno e che la chiesa non può permettersi di essere
considerata, nelle terre in cui da sempre esercita il suo magistero, una
minoranza più o meno influente. Deve trovare il modo di affermare
che il suo messaggio riguarda tutti, anche a costo di lasciare un certo
numero di argomentazioni nel vago, di ridurre di un tanto i pedaggi ideologici
di entrata. Questo spiega, credo, i riferimenti a una “pratica pastorale
più illuminata” (in cui è caratteristico l’uso di un aggettivo che, un
tempo, caratterizzava soprattutto le parole dei laici e dei mangiapreti):
una prassi illuminata, nel contesto, è ovviamente quella che serve a tenere
aperti più cancelli possibile, a garantire la possibilità di esercitare
la propria influenza in un mondo in cui le mappe dell’aldilà non possono
essere particolareggiate come una volta.
E
a ben vedere, il problema dell’abolizione del Limbo non è del tutto estraneo
a quelle polemiche buttiglionesche cui accennavamo pocanzi. Il buon
Rocco, che non a caso ha fama di pensatore molto vicino al sommo pontefice,
è uno di quei cattolici che sul mondo moderno, laicismo o non laicismo,
non vogliono a nessun costo mollare la presa. Di quelli che
ritengono lecito e necessario prescrivere a tutti, meglio se in forma intimativa
e sotto pena di gravi sanzioni, i comportamenti che la fede raccomanda
soltanto a loro. Anche se ha avuto la faccia tosta di spiegare che
non ci sarebbe contrasto tra le note dichiarazioni in commissione e una
sua eventuale permanenza ai vertici europei in base alla distinzione kantiana
tra morale e diritto, che rappresenta uno dei capisaldi della dottrina
liberale, lui si richiama notoriamente a un filone del pensiero cristiano
che con Kant e con il liberalismo ha sempre avuto poco o nulla a che fare.
Non è un uomo di terze vie, dunque, ma, appunto per questo, a certi
compromessi teologici deve essere più che disposto. D’altronde,
lui, a lasciarlo fare, probabilmente risolverebbe il problema dei bambini
non battezzati rendendo il battesimo obbligatorio per legge, i pensatori
pagani li farebbe espellere in massa dalle Università e dai piani di studio
e il Saladino, in quanto pericoloso leader islamico, per di più di origine
curda, lo confinerebbe a Guantanamo d’urgenza. Un pensatore così,
francamente, del Limbo non ha proprio bisogno.
24.10.’04