Il re del bosco

La caccia | Trasmessa il: 02/21/2010


    Strane notizie si trovano ogni tanto sui giornali. Leggo così (su “Repubblica” del 17 febbraio u.s.), che Filippo Coarelli, un archeologo di un certo nome, che sta compiendo degli scavi sulla sponda settentrionale del lago di Nemi, dove sorgeva, almeno dal III secolo a. C. in poi, un famoso santuario di Diana, ha trovato “un recinto quadrato, un vaso incassato nella roccia”, con un fondo di “piccoli mattoni porosi” e ha stabilito che quello è il vaso in cui cresceva l'albero del ramo d'oro. Sì, proprio il ramo d'oro cui si intitola l'opera monumentale di James G. Frazer, quella che diede il via, agli inizi del secolo scorso, allo studio moderno del mito. Ovvio, d'altronde, perché è proprio dalle riflessioni su una leggenda relativa al santuario di Nemi che partiva l'indagine del grande antropologo.
    Raccontano infatti Strabone, Pausania, Ovidio e altri che il gran sacerdote di quel tempio regnava sulle genti circonvicine con il titolo di rex nemorensis, “il re del bosco”. Ma certo, scrive Frazer, mai “nessuna testa regale riposò tra maggiori inquietudini, né fu mai turbata da più diabolici sogni”. L'usanza prevedeva infatti che la successione avvenisse mediante un duello mortale, per cui il rischio di incontrare presto o tardi uno sfidante più robusto (magari, semplicemente, perché più giovane) intenzionato a guadagnarsi il posto facendo fuori l'occupante in carica era sempre incombente. Lo studioso, com'è noto, confrontò questo spunto narrativo con migliaia e migliaia di altri dati, ricavati dalle tradizioni e dalla cultura di infiniti popoli “primitivi” (le virgolette sono d'obbligo) di tutti i continenti e ne ricavò, come diremmo noi, un archetipo, una sorta di mito universale secondo cui, nelle fasi aurorali della storia umana, la successione al potere avveniva sempre attraverso un rituale che comportava una sfida, un duello e l'uccisione del vecchio capo. C'erano, s'intende, una quantità di particolari di contorno, di tipo generalmente magico (a Nemi, per esempio, lo sfidante, per essere accettato come tale, doveva essere uno schiavo fuggitivo capace di strappare un ramo d'oro dall'apposito albero sacro), ma la sostanza era questa. Che la regalità comportasse dei rischi, lo si sapeva ben da prima che Dionisio di Siracusa raccontasse all'ospite indiscreto la storia di Damocle e della sua spada.
    Frazer e i suoi contemporanei erano convinti che questa storia sacra rispecchiasse una pratica universale risalente a chissà quanto tempo prima. Oggi tendiamo a essere un po' più prudenti e del valore documentario dei miti si tende a diffidare alquanto. Ma certo l'idea è suggestiva e l'ipotesi che in una comunità ancora di tipo embrionale il potere dipenda, in ultima analisi, dalla forza individuale di chi lo detiene, per cui resta in sua mano solo finché non si trova qualcuno più forte di lui, suona abbastanza credibile. In fondo, metodiche analoghe sono notoriamente in vigore tra i nostri confratelli scimmioni, molti dei quali usano regolare con un'energica botta in testa la successione del capobranco. Molti ma non tutti, certo, perché la pratica, comune tra i gorilla, lo è assai meno tra gli scimpanzé, che assai di più ci somigliano, ed è affatto ignota ai bonobo, che tra tutte le grandi scimmie rappresentano la specie più affine all'uomo per patrimonio genetico. Ma scimmie siamo tutti e la tentazione di ricorrere, per regolare le nostre faccende gerarchiche, a quel sistema sperimentato può germinare nel cervello di ciascuno di noi.
    Dalla fine dell'età della pietra, comunque, la situazione si è complicata assai. Il potere non si fonda più sull'energia fisica del potente e le pratiche attraverso cui conservarlo non sono più puramente magiche. L'invenzione della proprietà e della famiglia ha reso tutto tremendamente più difficile. Già nel III secolo a. C., a Nemi, dubito assai che la successione del sommo sacerdote avvenisse secondo quelle procedure: si sarà celebrato un rito, che ne ripercorreva in qualche modo le fasi, ma con un valore eminentemente simbolico. Per questo mi sembra improbabile che la fossa quadrata scoperta dagli archeologi contenesse davvero l'albero del ramo d'oro. Avrà ospitato, se mai, un albero che rappresentava quello di cui narrava il mito, che è tutta un'altra cosa. O forse, visto che l'interpretazione dei dati archeologici dipende da una quantità imponderabile di elementi, può darsi che quel recinto servisse a tutt'altro. Magari i sagrestani del tempio ci coltivavano l'insalata.
    Peccato però. L'idea di organizzare il passaggio dei poteri al vertice della comunità con la tecnica, ruvida da efficace, dei sacerdoti di Nemi e dei gorilla, può essere, in certe circostanze, piuttosto attraente. La nostra comunità, per esempio, è da sempre alle prese con un problema analogo, cui non sa dare soluzione. Chi giunge al potere tende a metterci le radici e l'ultima cosa che gli passa per l'anticamera del cervello è quella di cercarsi un degno successore. Anzi, la sua preoccupazione maggiore – simile, in questo, a quella che doveva turbare i sonni del rex nemorensis – è che qualcuno di simile si faccia avanti per conto suo. Onde l'abitudine di circondarsi di servi sciocchi, yes men, adulatori e incapaci, dai quali non si ritiene di doversi aspettare iniziative avventate. La società moderna, naturalmente, è variamente strutturata e non dipende da un capo, ma quando qualcuno, per un motivo o per l'altro, si avvicina a quella condizione – anche se è stato eletto a grande maggioranza o ha un altissimo indice di gradimento – quella sindrome si ripresenta. Non starò a fare degli esempi, visto che è sufficiente, per trovarne a iosa, una scorsa ai giornali.
    Per tornare agli scavi di Nemi, apprendiamo dallo stesso articolo di “Repubblica” che attualmente, con grave cruccio degli archeologi, sono sospesi. Qualcuno gli ha tagliato i finanziamenti. Be', non vorrei sembrare troppo sospettoso, ma mi sembra il minimo: l'argomento del come allontanare dal vertice chi ci sta non è di quelli che interessino più di tanto ai potenti (che sono poi quelli che elargiscono i fondi) e quando te ne occupi qualcuno che decida che è meglio che certe idee non circolino salta fuori sempre.
21.02.'10


    Nota

    La prima edizione di The Golden Bough, A Study in Magic and Religion (Il ramo d'oro – Studio sulla magia e la religione) di James G. Frazer è del 1890. La citazione è tratta dalla edizione ridotta in tre volumi (1922), tr. it. di Lauro de Bosis, pubblicata da Boringhieri, Torino, 1950 e in tascabile (Universale scientifica) 1965, v. I, p. 8.