La nuova legge elettorale, come è noto, ha tolto ai cittadini il disturbo
di dover esprimere un voto di preferenza e lascia alle segreterie dei partiti
l’onere di decidere con criteri propri chi dovrà, dopo tutto, rappresentarci
in Parlamento. Una bella puttanata, a prima vista, ma poteva
avere i suoi vantaggi. Io, per esempio, mi ero illuso che comportasse
– se non altro – la sparizione dai muri della città dei manifesti con
l’effigie dei candidati minori. Mi facevano tristezza, vedete, quelle
facce speranzose, tutti quei giovanotti in divisa da yuppy in carriera
con i capelli appena tagliati e il nodo della cravatta ben fatto che neanche
il giorno della Cresima e tutte quelle signore sorridenti che, riciclando
foto vecchie almeno due lustri, cercavano di esibire un improbabile look
da divetta degli anni ’60. Erano così palesemente inadeguati agli
incarichi cui ambivano, così evidentemente destinati al macello nella contesa
partitica in cui si erano imbarcati, che un’anima appena sensibile non
poteva impedirsi di provare, nei loro confronti, una sorta di gentile pietà.
Si capiva benissimo che nessuno li avrebbe eletti, poveri diavoli,
e che, senza altra prospettiva che quella di un’amara delusione, gli toccava
profondere in fotocolor, carta, colla e spese di affissione un capitale
di cui avrebbero senza dubbio potuto fare un uso migliore.
Ahimè. Non avevo tenuto conto del fatto
che a Milano, oltre alle elezioni politiche, ci toccano, un paio di mesi
dopo, quelle municipali. E le elezioni municipali si svolgono inesorabilmente
con la vecchia legge e prevedono le preferenze. Per cui, già in questi
ultimi giorni di febbraio, i cantoni e i pali della luce fioriscono con
straordinario anticipo di facce e di slogan, gli uni più banali delle altre.
La fiducia nella volata lunga, evidentemente, è dura a morire, anche
se i risultati, di solito, premiano gli specialisti del surplace, e la
convinzione che basti esibire le proprie fattezze per convincere l’elettore
più riottoso deve far scattare qualche pulsione profonda nella psiche di
questo tipo di aspiranti a una carica pubblica. Di fatto, sono di
nuovo tutti lì in effigie, ad assicurarci che la sicurezza non è un’opinione,
che il bene dei nostri anziani è la loro cura più cara e che quanto a impegno
e volontà di fare, dobbiamo credergli, non sono secondi a nessuno.
È uno spettacolo, ne converrete, assai triste.
Ma, forse, quest’anno qualcosa lo rende un po’ meno deprimente
di prima. In fondo, anche se appartengono quasi tutti a partiti tra
i più deprecabili, questi cirenei della politica un merito, almeno, ce
l’hanno. Desiderando essere eletti, si rivolgono agli elettori.
Non avranno dei grandi argomenti da far valere, ma almeno ci provano.
E sono certamente più simpatici, ne converrete, degli altri, di quelli
che sono sicuri di essere eletti perché a tal fine si sono prestati, in
veste non si capisce se di soggetti o di oggetti, a quella specie di mercato
delle vacche con cui, negli ultimi giorni, si sono definiti i collegi sicuri,
i posti blindati, le candidature paracadutate, le teste di serie e i “diritti
di tribuna” della gente più strana, nella serena convinzione che non essendo
data all’elettorato altra prospettiva che quella di prendere o di lasciare,
si può ragionevolmente presumere che, alla fine della fiera, prenderà.
Che non è esattamente il modo di manifestare rispetto per il cittadino
elettore, ma tanto, diciamolo pure, chi bada più a queste cose?
Io, vi assicuro, alle trattative riservate, con tutto il loro contorno
di lobbing, minacce, ricatto, pressioni e chi più ne ha più ne metta, preferisco
le facce sul muro.
26.02.’06