Il generale e la postina

La caccia | Trasmessa il: 03/25/2001



Continuiamo, se non vi dispiace, a fare un po’ di rassegna stampa.  Non so voi, ma io sono stato colpito da due notizie sui giornali di mercoledì, due notizie in sé non particolarmente rilevanti, ma tali, se prese congiuntamente, da dare spunto a qualche riflessione.  La prima riguarda l’uscita da San Vittore di Patrizia Cadeddu, che tutti adesso chiamano, con burocratica precisione, Maria Grazia, ma se lei preferisce farsi chiamare Patrizia avrà i suoi motivi e non si capisce perché non darle retta.   Si tratta, come ricorderete, della cosiddetta “postina di Radio Popolare”, cioè della donna accusata di aver recapitato alla nostra sede di via Stradella la rivendicazione di un attentato (mancato) a Palazzo Marino, il 25 aprile del ’97.  Identificata grazie alla lettura di una cassetta video che tutti quelli che l’hanno vista assicurano essere  assolutamente illeggibile, era stata condannata, senza uno straccio di prova, a cinque anni di carcere, poi ridotti a tre anni e nove mesi in appello.  E se li è fatti tutti, giorno dopo giorno, senza usufruire di sconti, riduzioni o pene alternative di sorta, che è un fatto, ne converrete, piuttosto inconsueto persino in un sistema penale come il nostro.  I giudici di appello, a suo tempo, le avevano negato persino la scarcerazione anticipata cui, in seguito alla riduzione della condanna, avrebbe avuto diritto,  perché il suo atteggiamento non era sembrato loro, in sostanza, abbastanza rispettoso.  Figuratevi che aveva continuato (e continua) a proclamarsi innocente del reato ascrittole, che è una cosa che in Italia chiunque sia accusato di qualsiasi cosa notoriamente non deve mai fare, perché in Italia, checché ne dicano Costituzione e codice di procedura, chi viene accusato di qualcosa è considerato colpevole finché non si pente e non si mette a collaborare con l’accusa e se non ha niente di cui pentirsi, o l’accusa non ha bisogno della sua collaborazione, sono cavoli suoi.  Per aver preteso di non adeguarsi a questo modello, la sciagurata, che oltretutto si prefissava di fede anarchica, era stata adeguatamente punita.
        La seconda notizia riguarda la deposizione in Corte d’Assise del generale Gianadelio Maletti, l’ex capo del controspionaggio dei tempi della strategia della tensione, che ha lasciato il suo esilio di Johannesburg, in Sudafrica,  per venirci a raccontare come dietro le trame e le stragi di quegli anni bui ci fosse, guarda caso, la mano della CIA: una verità non precisamente inedita, che i magistrati dell’ultimo processo per piazza Fontana hanno deciso, adesso, di far approdare anche in sede giudiziaria ed era ora.
        Non venitemi a chiedere, per favore, cosa c’entra il generale Maletti con Patrizia Cadeddu.  Non c’entra nulla, naturalmente.  Il fatto che delle vicende di entrambi si sia data notizia sui giornali lo stesso giorno è solo una coincidenza.   Entrambi sono stati coinvolti – marginalmente – in oscure faccende di bombe, ed entrambi ne hanno subito qualche conseguenza penale, ma lei, ormai, è una ex galeotta, mentre lui in galera non ci ha mai messo piede nemmeno per sbaglio.  Le sue condanne le ha rimediate anche lui, per un totale, salvo errore, di trentun anni di carcere, quattordici dei quali in via definitiva, ma non ne ha mai scontato un giorno che fosse uno.  E continuerà, suppongo, a non scontarne, perché, pur di farlo deporre, gli hanno concesso, per la prima volta nella storia giudiziaria del paese, un apposito salvacondotto che gli ha permesso di schivare qualsiasi mandato di cattura e di ritornarsene bello e tranquillo in Sudafrica.
        Tutto qui. È solo di una coincidenza, anche se ammetterete anche voi che come coincidenza è abbastanza strana.  In fondo, entrambi i personaggi sono stati debitamente condannati da uno o più tribunali della repubblica.  Il loro diverso destino penale farebbe supporre nella giustizia italiana uno strano atteggiamento bifronte, la capacità di esibire, da un lato la più inflessibile severità e di ostentare dall’altro la flessibilità più accomodante.  Certo, i due casi sono diversi, perché sono diverse le logiche giudiziarie che vi presiedono e poi c’è una bella differenza, ve lo concedo, tra un’anarchica abbastanza smandrappata, usa a frequentare i centri sociali e altri ambienti disdicevoli, e un generale dei servizi, sia pure un po’ troppo corrivo rispetto alle attività di certi alleati e un po’ troppo propenso a depistare, costi quel che costi, le indagini che potrebbero coinvolgerli.   Ma visto che la legge dovrebbe essere uguale per tutti, la circostanza che all’una siano stati negati i benefici di legge, mentre all’altro sia stato concesso un salvacondotto per risparmiargli una trentina di anni di detenzione resta un fatto che dimostra, se pure ce ne fosse bisogno, come nel nostro modo di fare “giustizia” (con le virgolette, mi raccomando, non dimentichiamo mai le virgolette) c’è proprio qualcosa di strano.

Carlo Oliva, 25.03.’01