Il caso e la scelta

La caccia | Trasmessa il: 12/24/2000



Da qualche tempo, ve ne sarete accorti anche voi, mi sento come ossessionato dalla pubblicità stradale.  Non riesco a posare gli occhi su un manifesto, qualsiasi cosa reclamizzi, senza rabbrividire fin nei precordi.  Com’è e come non è, mi sembra che quanti si occupino di questa moderna forma di comunicazione facciano a gara nel non lasciarsi sfuggire nessuno degli aspetti più repellenti del nostro mondo.  Si direbbe che non ci sia volgarità troppo demenziale o demenzialità troppo volgare per non poter essere utilizzata per farci comperare qualcosa.   Ma devo ammettere che non mi era ancora capitato di imbattermi in un’affiche capace di suscitare, oltre che un genuino disgusto per il prodotto cui si riferisce, delle riflessioni così cupe in chi dovrebbe consumarlo, come quella che pubblicizza non ricordo più quale marca di insaccati con lo slogan “maiali per caso, salami per scelta”.
        Vedete: già da un punto di vista puramente iconico quell’oggetto presterebbe il fianco a più di una critica.  Raffigura due rosei maialetti visti da retro, con le loro belle codine arricciate e, così a occhio e croce, non mi sembra sia buona politica ricordare ai consumatori di proteine animali che il loro alimento preferito faceva parte integrale, un tempo, del corpo di una bestia per tanti aspetti simile a noi e che da quel corpo è stato rimosso mediante una serie di procedure che, se applicate a noi, non ci piacerebbero punto.  Alla macellazione, con tutti i suoi annessi e connessi, di solito si preferisce non pensare.  Facciamo una fatica del diavolo a categorizzare quei pezzi di carne sotto delle denominazioni abbastanza innocue del tipo di “bistecche”, “cotolette”, “nodini” e quant’altro, rimuovendo con cura dalla nostra mente l’immagine dell’animale vivo e placidamente intento a farsi i fatti suoi, e di solito non abbiamo nessuna voglia di riflettere sul fatto che mai come in questo caso la vita nostra equivale, ahimè, alla mors sua.  E questo è tanto più vero, naturalmente, nel caso degli insaccati, un prodotto che ha subito abbastanza trasformazioni tecnologiche perché ce lo si possa gustare in pace, senza la sgradevole impressione di cibarsi, alla fin fine, di interiora ripiene di carne macinata cruda e grumi di grasso.  Ma siccome è consuetudine diffusissima reclamizzare i salumi con l’immagine di allegri porcelli sgambettanti, può darsi che mi sbagli.   Dei misteri della pubblicità so davvero assai poco.
        Ma quello slogan, perbacco!  Sembra ispirato da una lettura tardiva del Caso e la necessità di Jacques Monod.  Lo ricordate, no?  Era quel “saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea” in cui, una trentina di anni fa, l’autore (che aveva vinto un premio Nobel per la medicina nel ’65) cercava di fondare una morale su basi epistemologiche, partendo dalla constatazione, in sé abbastanza banale, per cui “gli eventi iniziali elementari che schiudono la via dell’evoluzione … sono microscopici, fortuiti e senza alcun rapporto con gli effetti che possono produrre nelle funzioni teleonomiche” ma che “una volta inserito nella struttura del DNA l’avvenimento … verrà automaticamente e fedelmente replicato e tradotto, cioè contemporaneamente moltiplicato e trasposto in milioni o miliardi di esemplari”, per cui “uscito dall’ambito del puro caso, esso entra in quello della necessità, delle più inesorabili determinazioni” (cito da pag. 118 della 1ª ristampa Oscar Mondadori, del 1976).  Che è un modo piuttosto erudito per esprimere una verità di cui, in fondo, siamo tutti abbastanza consapevoli (tranne forse il presidente Formigoni): quella per cui è probabilmente un caso se siamo quello che siamo – maiali, balene, palmizi o esseri umani – ma che è poco ma sicuro che non potremo mai essere qualcosa d’altro.  Sarà anche un caso che un maiale sia un maiale, ma questo non significa che possa diventare – mettiamo – un’allodola.
        Già.  Ma questo non significa neanche che il suino in questione debba di necessità trasformarsi (o essere trasformato) in salame.  Quest’ultimo passaggio è il portato di una necessità aggiuntiva, di una necessità, per così dire, eterodiretta.  In fondo, il manifesto da cui siamo partiti ha perfettamente ragione.  Si è maiali per caso, ma si diventa salami per scelta.  L’unico particolare che non specifica, forse perché è troppo ovvio, è che si tratta di una scelta altrui, dipendente, in ultima analisi, da banali questioni di potere.
        Be’, mi direte, ci spiace per la povera bestia, ma così va il mondo.  E noi comunque cosa c’entriamo?   Il caso non ci ha fatto maiali e, di conseguenza, non abbiamo motivo di preoccuparci della loro sorte.
         Ahimè, cari amici, è troppo comodo.  In questa storiaccia c’entriamo anche noi.  De nobis fabula narratur.   È improbabile, sia pure non del tutto impossibile, che di noi facciano salami o articoli affini, ma sul fatto che il nostro futuro dipenda, per così dire, da scelte che non sono nostre non credo sia possibile avere dei dubbi.   E il fatto che siano in tanti ad avere potere su di noi, a pianificare il nostro destino secondo i loro interessi, non è affatto frutto del caso, né d’altronde, della necessità.  È il frutto di una scelta, non si sa bene quanto nostra o altrui, ma profondamente radicata in questo mondo di rassegnati: quella di non ribellarci.
        Insomma, non so cosa dirvi.  A me quello slogan, anche se non a noi uomini di buona volontà si riferisce, ma ai nostri fratelli maiali, mi ha davvero depresso.

24.12.’00