Visto che ho cominciato la settimana scorsa, vi proporrò, se me lo permettete,
un’altra causa piuttosto impopolare. Non sono riuscito, con tutta
la buona volontà, a condividere il giubilo dell’opinione pubblica democratica
per l’avvenuta cattura di Momcilo Krajisnik, il “boia di Sarajevo”,
prelevato nottetempo da un commando della NATO nella sua casa di Pale,
Repubblica Serba di Bosnia, e trasferito illico et immediate in una cella
d’isolamento dell’Aja, a disposizione del Tribunale Internazionale dell’ONU
per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia. So benissimo che è
altamente probabile che l’individuo, durante la guerra, ne abbia fatto
di ogni e che meriti ampiamente tutte le condanne che potranno essergli
inflitte, ma, che volete che vi dica, sono talmente abituato a pensare
che un giudizio legale, qualsiasi giudizio legale, debba prevedere un giudice
“neutro”, nel senso di terzo tra le parti, che nemmeno per un personaggio
sgradevole come Krajisnik riesco a fare eccezioni. Vedete, nessuno
può negare che la NATO, che per l’occasione si è attribuita funzioni di
polizia giudiziaria, nella crisi jugoslava proprio neutrale non è. E
quanto al Tribunale Internazionale dell’ONU, visto che il pubblico ministero
Del Ponte, interpretando in modo creativo il concetto svizzero di “neutralità”,
ha dichiarato più volte che loro a dar corso alle numerose denunce ricevute
contro la NATO non ci pensano affatto, mi permetterete di nutrire qualche
dubbio sulla sua terzietà, se si dice così, e, quindi, sulla possibilità
stessa di considerarlo un tribunale vero. La “giustizia” che una
delle parti esercita sull’altra dopo una guerra comporta sempre la volontà
di assolvere se stessi affermando, non importa se a ragione o a torto,
le colpe degli altri e, anche se nel caso specifico le guerre sono state
due, far condannare il boia (serbo) di Sarajevo può essere un modo come
un altro per far passare sotto silenzio i bombardamenti sui civili serbi
e i relativi “danni collaterali”. E non vi parlerò, per non tediarvi,
di tutte le altre minutiae giuridiche, dei problemi di competenza territoriale
e di sovranità nazionale, per non dire di quelli di procedura, che rendono
l’azione dei para francesi molto più simile a un atto di guerra che a
un’operazione di polizia. Avete mai sentito parlare, per esempio,
di un “mandato di cattura segreto”? Sì, una volta i monarchi assoluti
mandavano i loro nemici alla Bastiglia, o altrove, con le lettres de cachet,
ma della Bastiglia pensavamo di esserci liberati nel 1789.
In realtà, il problema non è soltanto di procedure
e di competenze. È un problema di diritti. Nessuno può violare
la sovranità territoriale di un paese qualsiasi, nemmeno di un paese sfigato
come la Repubblica di Bosnia, per arrestare qualcuno in base a un ordine
di cattura segreto, che non è stato notificato in alcun modo e non può
essere in alcun modo impugnato. È una patente violazione dei diritti
civili dell’interessato. E i diritti, si sa, sono una gran bella
cosa, ma hanno il maledetto difetto di dover valere per tutti. E
di non essere revocabili. Dire che uno è troppo malvagio, o troppo
cretino, o troppo colpevole per poter godere dei diritti che spettano a
lui come agli altri significa negare un principio e quando ci si mette
a negare i principi non si sa mai dove si va a finire. Adolf Eichmann,
per fare un esempio particolarmente fastidioso, meritava mille volte di
fare la fine che ha fatto, ma ciò non toglie che il suo “arresto”, chiamiamolo
così, extralegale, abbia segnato per lo Stato d’Israele un punto di non
ritorno, l’inizio di una deriva le cui conseguenze sulla democrazia in
quel paese si sono fatte dolorosamente sentire più tardi. Oppure,
se dal dramma volete passare all’operetta, pensate agli eredi di casa
Savoia. Non c’è dubbio che siano personaggi di scarsa levatura
e di modesta intelligenza, nonché arroganti, antipatici e ignoranti come
caproni, ma nessuno ha il diritto lo stesso di condannarli per delle colpe
che personalmente non hanno commesso e impedirgli di entrare nel territorio
nazionale è un’ingiustizia bella e buona (e non ditemi che basterebbe
che pronunciassero un giuramento di fedeltà alla Repubblica, perché esisterà
pure il diritto di non giurare fedeltà alla Repubblica, no?). La
democrazia ha i suoi prezzi e se si pretende di vivere in uno stato di
diritto, bisogna rassegnarsi ad accettare certe norme, per quanto fastidio
possano darci le loro applicazioni specifiche.
Ne caso di Momcilo Krajisnik, naturalmente,
il problema è ancora più complicato, perché a essere stati violati non
sono stati soltanto i diritti suoi, ma quelli, in un certo senso, di tutti
i cittadini bosniaci, che d’ora in poi sapranno di essere soggetti a un
potere esterno che potrà decidere, in base alle sue leggi e alle sue necessità
politiche, di imporre loro la sua “giustizia”. È una sopraffazione, s’intende,
che potrà essere gradita a molti di loro, forse addirittura alla maggioranza,
ma visto che i diritti non si decidono a maggioranza, di una sopraffazione
sempre si tratta. Ma tanto, che ai governi del felice occidente,
alle loro organizzazioni militari e ai loro tribunali dei diritti dei cittadini
bosniaci non gliene potesse importare di meno lo sapevamo già.
* * *
Visto che ci siamo, tanto vale che mi rovini definitivamente la piazza.
Tra i titolari di diritti di cui non si può prescindere ci sono,
per quanto possa sembrar strano a qualcuno, anche i boss della malavita,
compresi quelli condannati all’ergastolo nel giudizio di primo grado.
Se la Corte di Cassazione decide, come ha deciso la settimana scorsa,
che undici di loro vanno scarcerati perché, tra un processo e l’altro,
sono scaduti i termini di carcerazione preventiva, non fa altro – per
una volta – che il proprio dovere e nessuno dovrebbe permettersi di fare
tutto il cancan che si è fatto a questo proposito. Il principio per
cui la condanna non è definitiva finché non è definitivo il giudizio (finché,
cioè, al condannato resta la possibilità di appellarsi a qualche Corte
più alta) può non piacere all’attuale Ministro degli Interni, che infatti
non manca mai di farlo rilevare, ma è espresso in termini assai chiari
in quella Costituzione che lo stesso ministro ha liberamente giurato di
osservare e far osservare. E quello per cui la carcerazione preventiva
deve avere un limite temporale ben definito fa parte a pieno titolo della
civiltà giuridica contemporanea: non è stato inventato, come alcuni illustri
commentatori sembrano ritenere, allo scopo di favorire i delinquenti e
ostacolare l’opera dei bravi giudici e dei bravi poliziotti, ma per impedire,
in ipotesi, che un’autorità qualsiasi possa tenere in galera qualcuno
senza prendersi il disturbo di fargli quel giusto processo cui tutti, di
qualsiasi reato siano imputati, hanno appunto diritto. Sappiamo che
non è un’ipotesi particolarmente remota, anche perché nel concetto di
“giusto processo”, dopo la recente riforma costituzionale, è insita
la condizione per cui esso processo non deve avere una durata illimitata
o comunque eccessiva e l’Italia, in ogni caso, è uno dei paesi in cui
i processi li si tirano in lungo di più, com’è attestato dalle numerose
condanne che al nostro paese ha inflitto la competente corte europea. Le
conseguenze di tutto ciò sono assolutamente ovvie: se io giudice non riesco
a processarti entro un certo lasso di tempo, non posso proprio tenerti
in prigione. Devo, sia pure con rincrescimento, metterti fuori e
non posso prendermela che con me stesso, perché non sono riuscito a fare
il mio mestiere nei modi dovuti o con chi, eventualmente, mi ha impedito
di farlo. I sistemi giuridici che prevedono questo comportamento
possono avanzare una qualche pretesa a essere considerati civili; quelli
che preferiscono prolungare la detenzione preventiva all’infinito, nella
presunzione che a una condanna definitiva prima o poi si finirà comunque
con l’arrivare, e comunque chi se ne frega perché tanto l’imputato in
galera ci è già, invece no. Alle anime sensibili può dispiacere
veder mettere in libertà certi brutti tipi (che si aggiungono ai molti
che in libertà già ci sono perché nessuno ha mai pensato di arrestarli,
anzi, di solito sono loro quelli che fanno arrestare gli altri), ma non
si vede proprio come si possa evitarlo. Non è necessario essere un
teorico del diritto, o avere una mente particolarmente versata nei problemi
legali, per capire che se si cominciasse a fare eccezioni per questo o
per quello, per uno perché è tanto cattivo e per l’altro perché certa
gente proprio non la si può sopportare, il risultato finale sarebbe quello
di una perdita secca di libertà per tutti, a partire da noi. In fondo,
anche a chi non è né un boss né un delinquente generico può capitare di
avere a che fare, come si dice con la “giustizia” e scoprire che il più
delle volte “giustizia”, nel nostro paese, si scrive con le virgolette.
Stando così le cose, quando il governo, nella
persona del ministro Guardasigilli, che sente evidentemente il bisogno
di far onore a quel suo bel titolo di origine medioevale, risponde alle
“proteste” e allo “sdegno” suscitate nei media dalla scarcerazione
degli undici boss di Reggio Calabria (che, a onor del vero, sono sette,
perché uno era morto e tre sono restati dentro, ma queste sono banalità)
con un bel decreto che, guarda un po’, prolunga per l’ennesima volta
quei termini, tutti dovrebbero avere la sensazione, come minimo, di
essere presi per fondelli, perché a un fallimento del sistema si
risponde, con una prassi assolutamente consolidata, diminuendo i diritti
dei cittadini, per non dire che boss – naturalmente – restano fuori e
a rimetterci saranno una quantità di poveri cristi che boss non sono per
niente, perché se si concede più tempo ai giudici a che cosa credete che
lo dedichino, ai processi dei poveracci o a quelli importanti, che fanno
titolo sui giornali e assicurano fama e carriera? E dovrebbe fare
anche un po’ d’impressione scoprire di avere un ministro capace di dichiarare
che lui non vuole “aumentare i termini complessivi della custodia cautelare”,
ma si limita ad allungarli “nella fase iniziale”, che è un bell’esempio
di logica, ma non basta a nascondere il fatto che, per ora, l’allungamento
c’è. Invece siamo tutti contenti perché hanno dato un giro di vite
e possiamo aspettare tranquillamente il prossimo scandalo e il prossimo
decreto. Che il giro di vite lo stiano dando contro di noi, a quanto
pare non viene in mente a nessuno.
09.04.’00