In Italia il laicismo è soprattutto
una questione di necrologi. Nel paese che ha da secoli il dubbio
privilegio di ospitare i vertici della chiesa cattolica, nessun sostenitore
della separazione tra la potestà religiosa e quella civile ha mai fatto,
da vivo, molta strada. Oggi, probabilmente, l’essere laico è un
po’ meno pericoloso di un tempo, nel senso che meno si corre il rischio
di finire sul rogo o di essere presi a pugnalate come Paolo Sarpi, ma è
poco ma sicuro che per figurare nel novero di chi conta davvero non bisogna
insistere troppo su quel vetusto argomento. I laici che fanno fortuna
sono quelli che si vendono, secondo un modello invalso, ormai, dai tempi
del Guicciardini, o teorizzano, come Benedetto Croce, la necessità di dirsi
comunque cristiani, o più modestamente si avvalgono, come Berlusconi, del
diritto alla libertà di coscienza nella sfera dei comportamenti e degli
affetti privati, ma in pubblico hanno una certa qual tendenza a genuflettersi
di fronte al magistero pontificale. Non è, il loro, un atteggiamento
coerente, ma la coerenza non è obbligatoria in un paese abituato a confondere
i diritti di tutti con i privilegi per pochi.
Questo
per quanto riguarda i vivi. Sui morti il discorso è diverso. I
morti, anche se laici, non danno fastidio a nessuno e nulla vieta di riconoscergli
quelle doti di coerenza e rigore che pure ne avevano fatto, da vivi, degli
isolati, quando non degli intoccabili. I padri del laicismo nazionale,
i Capitini, i Rossi, i Galante Garrone, non hanno mai avuto tanti riconoscimenti
quanti gliene sono toccati dopo il trapasso. Norberto Bobbio, al
cui ricordo ci inchiniamo oggi anche noi, ha goduto, in vita, di non pochi
onori, inclusa la nomina a senatore a vita, ma nessuno può sostenere che
sia stato un protagonista della nostra vita politica. Lui stesso
ha dichiarato che le sue esperienze in merito andavano considerate piuttosto
fallimentari. Pure, tra ieri e oggi, se ne è ricordata la figura
come quella di una sorta di padre della patria e non c’è stato alto dignitario
della Repubblica, da Ciampi a Pera, da Casini a Prodi, che non abbia dato
il suo contributo a una specie di improvvisata imbalsamazione ideologica.
Tutti hanno celebrato l’alto magistero civile dello scomparso e
il suo ruolo di coscienza critica, ma hanno evitato con cura di far notare
che se Bobbio è stato un maestro della sua generazione, è stato evidentemente
un maestro cui pochi, o pochissimi, hanno dato retta e che, a proposito
di funzione critica, è già tanto che non gli sia toccata la fine del Grillo
Parlante. Sono cose che non si dicono, a rischio di perdere una delle
rare occasioni di farsi passare per laici senza dare fastidio al clero.
D’altronde, al coro si sono uniti, con zelo ecumenico, persino due
o tre cardinali.
L’unica
eccezione, come avrete notato, è stata quella del presidente del consiglio,
che, sincero come sempre nella sua autoreferenzialità, non si sognerebbe
mai di lodare un avversario, vivo o morto, e infatti si è limitato, in
uno stringatissimo messaggio di condoglianze, a ricordarne i titoli scientifici
e accademici. Per l’Uomo di Arcore, si sa, le discriminanti ideologiche
contano poco, ma a tutto c’è un limite e non si capisce davvero perché
avrebbe dovuto fare l’elogio di un personaggio che aveva avuto il pessimo
gusto, anni fa, di firmare un appello a non votare per lui. Un gesto
poco elegante, se volete, ma un gesto che, tra le tante lodi di circostanza
e i tanti riconoscimenti insinceri che fioccano da ogni dove, dà meno fastidio
di altri. In fondo, come dicevamo, una delle componenti dello spirito
laico è la coerenza con se stessi e dobbiamo tutti rallegrarci di trovarla
dovunque si trovi. Persino nelle piccinerie di Berlusconi.
11.01.’04