Ideologie postume

La caccia | Trasmessa il: 01/11/2004



In Italia il laicismo è soprattutto una questione di necrologi.  Nel paese che ha da secoli il dubbio privilegio di ospitare i vertici della chiesa cattolica, nessun sostenitore della separazione tra la potestà religiosa e quella civile ha mai fatto, da vivo, molta strada.  Oggi, probabilmente, l’essere laico è un po’ meno pericoloso di un tempo, nel senso che meno si corre il rischio di finire sul rogo o di essere presi a pugnalate come Paolo Sarpi, ma è poco ma sicuro che per figurare nel novero di chi conta davvero non bisogna insistere troppo su quel vetusto argomento.  I laici che fanno fortuna sono quelli che si vendono, secondo un modello invalso, ormai, dai tempi del Guicciardini, o teorizzano, come Benedetto Croce, la necessità di dirsi comunque cristiani, o più modestamente si avvalgono, come Berlusconi, del diritto alla libertà di coscienza nella sfera dei comportamenti e degli affetti privati, ma in pubblico hanno una certa qual tendenza a genuflettersi di fronte al magistero pontificale.   Non è, il loro, un atteggiamento coerente, ma la coerenza non è obbligatoria in un paese abituato a confondere i diritti di tutti con i privilegi per pochi.
        Questo per quanto riguarda i vivi.  Sui morti il discorso è diverso.  I morti, anche se laici, non danno fastidio a nessuno e nulla vieta di riconoscergli quelle doti di coerenza e rigore che pure ne avevano fatto, da vivi, degli isolati, quando non degli intoccabili.  I padri del laicismo nazionale, i Capitini, i Rossi, i Galante Garrone, non hanno mai avuto tanti riconoscimenti quanti gliene sono toccati dopo il trapasso.  Norberto Bobbio, al cui ricordo ci inchiniamo oggi anche noi, ha goduto, in vita, di non pochi onori, inclusa la nomina a senatore a vita, ma nessuno può sostenere che sia stato un protagonista della nostra vita politica.  Lui stesso ha dichiarato che le sue esperienze in merito andavano considerate piuttosto fallimentari.  Pure, tra ieri e oggi, se ne è ricordata la figura come quella di una sorta di padre della patria e non c’è stato alto dignitario della Repubblica, da Ciampi a Pera, da Casini a Prodi, che non abbia dato il suo contributo a una specie di improvvisata imbalsamazione ideologica.  Tutti hanno celebrato l’alto magistero civile dello scomparso e il suo ruolo di coscienza critica, ma hanno evitato con cura di far notare che se Bobbio è stato un maestro della sua generazione, è stato evidentemente un maestro cui pochi, o pochissimi, hanno dato retta e che, a proposito di funzione critica, è già tanto che non gli sia toccata la fine del Grillo Parlante.  Sono cose che non si dicono, a rischio di perdere una delle rare occasioni di farsi passare per laici senza dare fastidio al clero.  D’altronde, al coro si sono uniti, con zelo ecumenico, persino due o tre cardinali.
        L’unica eccezione, come avrete notato, è stata quella del presidente del consiglio, che, sincero come sempre nella sua autoreferenzialità, non si sognerebbe mai di lodare un avversario, vivo o morto, e infatti si è limitato, in uno stringatissimo messaggio di condoglianze, a ricordarne i titoli scientifici e accademici.  Per l’Uomo di Arcore, si sa, le discriminanti ideologiche contano poco, ma a tutto c’è un limite e non si capisce davvero perché avrebbe dovuto fare l’elogio di un personaggio che aveva avuto il pessimo gusto, anni fa, di firmare un appello a non votare per lui.  Un gesto poco elegante, se volete, ma un gesto che, tra le tante lodi di circostanza e i tanti riconoscimenti insinceri che fioccano da ogni dove, dà meno fastidio di altri.  In fondo, come dicevamo, una delle componenti dello spirito laico è la coerenza con se stessi e dobbiamo tutti rallegrarci di trovarla dovunque si trovi.  Persino nelle piccinerie di Berlusconi.

11.01.’04