Icone vere e presunte

La caccia | Trasmessa il: 05/10/2009


    Veronica Lario, com'è noto, non si chiama né Veronica né Lario. Mi sembra di aver sentito dire che all'anagrafe sia stata iscritta con il nome di Myriam e che il marito, quando ancora la chiamava in qualche altro modo che non “la signora”, fosse solito rivolgersi a lei con l'appellativo di “Lella”. Quello con cui è più comunemente famosa è un nome d'arte, assunto ai tempi della sua breve carriera cinematografica, agli inizi degli anni '80. Ma visto che ciascuno è libero di farsi chiamare come vuole, tanto varrà chiamarla Veronica come fanno tutti, evitando il compunto “signora Lario” prediletto dai dirigenti del Partito Democratico e il sarcastico “signora Berlusconi” imposto ex officio ai cacicchi del Popolo della Libertà. Certo, l'uso generalizzato del nome proprio per designare un personaggio pubblico di solito si fa meglio a evitarlo, perché può essere visto come un segno di pretesa (e indebita) familiarità, ma in certi casi esprime anche l'ampiezza della popolarità che il personaggio si è conquistato: è quasi un tributo, una forma di omaggio, e come tale viene accettato e gradito.
    E poi, bisogna anche dire che mai, in tutta la storia dell'onomastica, la imposizione di uno pseudonimo fu più felice. Se il nome Veronica, come ci insegnano, si può interpretare, più che come un'improbabile derivazione da Berenice, come la storpiatura popolare di “vera icona”, con riferimento all'immagine del Redentore rimasta impressa sul panno con cui la santa che appunto Veronica sarebbe stata chiamata Gli asciugò il volto sul Calvario, be', non si può negare che quella scelta sia stata singolarmente profetica. La Signora di Macherio non sarà una santa – anche se il processo di beatificazione è piuttosto ben avviato – ma una icona sicuramente sì. In un certo senso, anzi, lo è sempre stata: lo è stata nella prima fase del suo matrimonio, quando ha incarnato il mito popolare dell'attrice che sposa il magnate, in assenza di principi disponibili, e più ancora negli anni in cui il marito, al governo o all'opposizione, una ne faceva e cento ne diceva e lei si poneva come l'immagine stessa (l'icona, appunto) della moglie saggia, quella che con la sua riservatezza e il suo fair play si contrapponeva, equilibrandole, alle intemperanze e all'esuberanza del coniuge. Fu Giuliano Ferrara, se ricordo bene, il primo a definirsi un berlusconiano di “tendenza Veronica” e quella espressione piacque, si diffuse anche nel centrodestra e fu persino scelta, mi sembra, come titolo di una biografia.
    Oggi, naturalmente, l'icona è tutta diversa. È quella della moglie stanca che dopo aver resistito quanto poteva si ribella e pone bruscamente il marito irrispettoso di fronte alle sue contraddizioni. Della donna, in sostanza, cui nulla si può rimproverare se non avere tardato finora a tirar fuori le unghie. È un'immagine che, se opportunamente elaborata e diffusa, potrebbe assicurarle una popolarità ancora maggiore di quella di cui già gode e non sarà un caso se Berlusconi ha subito cercato di stroncarla, proponendo, con mossa spericolata, quella alternativa di una femmina capricciosa e superficiale, succube facilmente dei suoi nemici politici. Su questa contrapposizione, suppongo, si svilupperà la dialettica tra i due: almeno in pubblico e per quel tanto che al pubblico sarà dato conoscere. Ma è probabile, naturalmente, che le trattative, se ci saranno, si svolgeranno su tutt'altro piano.
    Quanto ai nemici politici in questione, è fin troppo evidente che a loro Veronica piace moltissimo. Ma non tanto, mi sembra, per motivi volgari, legati all'opportunità di attaccare il capo del governo in un momento in cui sembravano pericolosamente scarsi gli argomenti con cui farlo. Nessuno di loro è abbastanza spregiudicato per giocare con sufficiente convinzione la carta dell'indegnità personale. Il concetto per cui tra virtù pubbliche e private non è ammessa contraddizione alcuna è tipico della moralità calvinista, non appartiene alla cultura di un paese come il nostro, in cui l'opportunismo della Curia e la mediazione del confessionale lasciano spazio a tutti i possibili compromessi. Il loro perbenismo – di fatto – si ferma rispettosamente di fronte alla sfera privata senza escludere, anzi, esaltando, le ambiguità della doppia morale.
    No. La sinistra, se vogliamo chiamarla ancora così, è affascinata da Veronica per motivi squisitamente ideologici. Vede in lei, non senza invidia, una figura cui nessuno potrà mai rimproverare l'antiberlusconismo. Mi spiego: quell'antiberlusconismo di cui loro un po' si vergognano, cui ricorrono per disperazione ma senza entusiasmo, che si sentono continuamente rinfacciare dai vari Bondi, Cicchitto, Panebianco, Ostellino e compagnia bella come manifestazione di ottuso apriorismo, sintomo di povertà culturale, incapacità di privilegiare i superiori interessi del paese e prova evidente di sudditanza a Di Pietro, lei, invece, se lo può permettere. Perché nessuno, ovviamente, potrebbe accusarla di essere antiberlusconiana per partito preso ed è ovvio che questo non può lasciare indifferenti coloro che da questa accusa, per pretestuosa che sia, non riescono a liberarsi.
    Certo, Veronica non è una antiberlusconiana della prima ora. Nella sua storia c'è stata necessariamente una fase in cui i rapporti con il Premier per eccellenza erano di tutt'altra natura: abbastanza cordiali, per lo meno, per sposarlo e averne tre figli. Ma anche questa ovvia constatazione, in fondo, può toccare delle corde sensibili in un ceto politico i cui membri, più o meno, hanno tutti vissuto con Berlusconi, se non un matrimonio, la tentazione di un accordo, di un inciucio, di un compromesso. Anche la figura del pentito e la categoria del pentimento sono popolari nella sinistra italiana e che il pentito dal suo pentimento possa trarre, a volte, qualche vantaggio è cosa che non scandalizza nessuno.

    10.05.'09