I nostri cari angeli

La caccia | Trasmessa il: 05/12/2002



Quanti fra gli ascoltatori hanno qualche nozione di teologia – un campo di studi, che, personalmente, non mi stancherò mai di raccomandare, perché le sue ipostasi riflettono il gioco delle valorizzazioni con una chiarezza che, a livello terreno, la filosofia riesce troppo spesso a occultare – quanti, dunque, hanno pratica del settore converranno con me che gli angeli, se non esistessero, bisognerebbe davvero inventarli.  Poche altre figure spirituali si sono rivelate, a pensarci, così utili e altrettanto versatili, contribuendo con la loro sola presenza alla soluzione di una quantità di problemi che, senza di loro, avrebbero procurato seri fastidi ai pensatori più agguerriti.  Dalla funzione originaria di messaggeri e portaordini della divinità, una funzione forse modesta, ma indispensabile, visto che qualcuno doveva ben esortare Giuseppe a prendere la via dell’Egitto, o avvertire le pie donne di non cercare tra i morti Colui che stava, invece, tra i vivi, hanno sviluppato, con i secoli, uno spettro di funzioni sempre più complesse e sofisticate.  In quanto protagonisti, nell’ingegnosa rielaborazione di un oscuro accenno profetico, della storia della ribellione di Lucifero e soci, hanno risparmiato all’Onnipotente l’imbarazzo di dover creare direttamente il Maligno, che sarebbe stata una bella complicazione per tutti.  Organizzati in nove cori da quell’autentico genio della speculazione sistematica noto come lo pseudo Dionigi l’Areopagita, si sono rivelati preziosi per colmare la distanza tra il Dio trascendente delle Scritture e questo basso mondo, permettendo ai dotti cristiani di utilizzare senza problemi una dottrina immanentista come quella neoplatonica, con tutti i vantaggi che, in termini di valore, glie ne venivano.  Combinati, coro per coro, con i nove cieli della cosmologia tolemaica, hanno fornito una comoda spiegazione dei moti celesti a un mondo che ancora ignorava i principi della meccanica razionale.   E anche dopo essere stati espropriati dai questa funzione dal diffondersi del modello copernicano, sono restati sulla breccia come protettori e custodi di ogni singolo essere umano.   È anzi in questa loro ultima personificazione, sorretta com’è, più che dalla dottrina, dalla devozione popolare, che li trovo particolarmente preziosi.  L’idea che ciascuno di noi, con i tempi che corrono, possa contare sul suo bravo Angelo Custode, mi sembra tra le più confortanti.  E non ditemi che, visto come va il mondo, non devono essere dei protettori particolarmente efficienti.  Se non altro ci provano.
        Trovo ingiusto, così, che, come leggo in un trafiletto del “Venerdì di Repubblica” del 26 aprile u.s., il Vaticano abbia diramato certe istruzioni che degli angeli intendono limitare drasticamente il culto.  Sembra, infatti, che la competente Congregazione diretta dal cardinale Medina Estevez, abbia pubblicato un documento di 300 pagine in cui si raccomanda, tra l’altro, di evitare con cura la venerazione di tutte le creature alate che non siano citate né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento.  E di angeli citati per nome nella Bibbia, non vi paia strano, ce ne sono solamente tre: Gabriele, Michele e Raffaele.  Tutti gli altri nomi noti (Uriele, Jophiele, Chamuele, Zadkiele) ci vengono da fonti meno qualificate e i loro titolari vanno quindi considerati delle “pseudo esperienze spirituali”, delle imitazioni dalle quali è consigliabile diffidare.
        Il documento pontificio, in realtà, più che con gli angeli, ce l’ha con certi loro estimatori troppo entusiasti, che rientrano, per un verso o per l’altro, in quel campo della religiosità new age di cui il Vaticano, come avrete notato, diffida più di tutto il resto della concorrenza.  Nel giro new age, a quanto pare, i vari Uriele e Zadkiele vengono tenuti in particolare considerazione, sono, come si legge, delle “autentiche star”, dei “simboli un po’ fricchettoni di pace, equilibrio, saggezza”.  Per cui, in base al principio che chi va al mulino si infarina, si è stabilito che da loro, e da tutti i loro innominati colleghi,  i fedeli faranno meglio a tenersi alla larga.
        La decisione ha una sua logica, ma a me sembra ingiusta lo stesso.  Gabriele, Michele e Raffaele avranno i loro meriti, non lo nego, ma tre angeli da venerare sono davvero pochi.   Non saprei dirvi quale sia, esattamente, il loro numero complessivo (anche se qualcuno, a suo tempo, ne avrà sicuramente discusso) ma se solo prendiamo in considerazione gli angeli custodi ce ne dovrebbero essere almeno sei miliardi, più tutti quelli tenuti da parte in vista della presumibile crescita numerica dell’umanità.   E, dopo tutti i meriti che hanno acquisito, non è bello metterli da parte adesso che non servono più.  Perché, certo, del Maligno e dei demoni dell’inferno oggi si tende a parlare il meno possibile, il neoplatonismo conta molto meno della semeiotica e a far muovere le stelle e i pianeti provvede con efficienza il Big Bang, per cui delle corti angeliche nessuno sente davvero il bisogno, e, anzi, può darsi che qualcuno le consideri delle entità superate e un po’ imbarazzanti, qualcosa di cui vergognarsi, come ci si vergogna di indossare gli abiti passati irrimediabilmente di moda, di guidare le vecchie automobili e di utilizzare, comunque, degli apparati che non vanno al passo con la tecnologia più recente.  Anche la Chiesa, soprattutto la Chiesa, deve mostrarsi à la page, per evitare qualsiasi fastidiosa imputazione di passatismo.  Ha smesso da tempo di occuparsi di cosmologia e, soprattutto, deve dimostrare che il suo radicamento nel passato non le preclude la frequentazione del contemporaneo e delle sue problematiche.  Nel tentativo, sempre negato, ma perseguito per tutta la sua storia, di tenersi al passo con i tempi, è disposta a lasciar cadere un’incredibile quantità di zavorra.
        Ma gli angeli, i nostri cari angeli, non ce li doveva toccare.

12.05.’02