Rodolfo (o, meglio, Rodolphe) di Gerolstein
è stato a lungo uno dei personaggi più celebri di Europa. Oggi come
oggi, forse, la sua fama è appannata, ma meno di due secoli fa il suo nome
correva su tutte le bocche. Le sue imprese appassionavano popolani
e borghesi, senza distinzione di classi, e offrivano spunto alle analisi
degli intellettuali: persino Marx ed Engels vi dedicarono un passaggio
della Sacra famiglia. E anche se si trattava, ostensibilmente, di
un nobiluomo tedesco, la cosa non impediva che tanta popolarità inquietasse
le polizie del continente, timorose che il suo esempio potesse mettere
delle idee strane in testa a qualcuno. Un onore non indifferente
per quella che, in fondo, era soltanto una figura della narrativa popolare.
Rodolphe,
in effetti, era ed è un “personaggio di carta”. È protagonista
dei Misteri di Parigi di Eugène Sue, uno dei primi romanzi popolari diffusi
– tra il 1842 e il 1843 – secondo la formula del feuilleton, come a dire
in appendice ai quotidiani. Secondo i nostri criteri, si tratta
di un personaggio abbastanza curioso: principe sovrano del granducato tedesco
di cui porta il nome (che ha dotato, diremmo noi, di una legislazione
di avanguardia e di invidiabili servizi sociali) è tuttavia riluttante
a risiedere nel palazzo avito. Per motivi che la trama, a un certo
punto, non mancherà di chiarire, preferisce vivere a Parigi, nei cui bassifondi
suole aggirarsi, nelle ore notturne, travestito da operaio, allo scopo
di soccorrere miserie, redimere anime e vendicare delitti. Non è
esattamente un calco del suo quasi contemporaneo cavalier Dupin (difficile
che Sue conoscesse Poe), ma rappresenta, con lui e con l’Athos dei Tre
moschettieri, uno dei primi esemplari di quello che Umberto Eco ha definito,
in un suo volume di saggi, Il superuomo di massa.
La
materia può non appassionare chi non nutra un preciso interesse per la
genesi del romanzo popolare contemporaneo. Ma è strano, lo ammetterete,
come certi modelli, ogni tanto, si ripropongano. Non so a voi, ma
a me quell’abitudine di andarsene in giro en travesti, di notte, a scopo
di redenzione sociale, ha richiamata alla mente una recente intervista
della sindaca di Milano. Anche la signora Moratti, lo ha dichiarato
al “Corriere” domenica scorsa, ama rendersi conto di persona dei problemi
su cui intervenire. “Io sono in mezzo alla gente molto più di quanto
non si sappia” ha detto all’intervistatrice. “Ho viaggiato in
metropolitana, ho mangiato in una mensa scolastica, ho incontrato le guardie
carcerarie, le casalinghe, gli ospiti dell’Istituto dei Ciechi”. E
se fin qui ci muoviamo ancora in un ambito di doveri istituzionali, il
colpo alla Sue arriva subito dopo: “Soprattutto ho visto i posti
critici della città, quasi sempre di sera e di notte … Ovviamente
mi muovo in incognito. Non annuncio il mio arrivo e anzi mi camuffo
in modo da non essere riconoscibile. Scelgo i posti più degradati,
per capire come possano essere migliorati.”
È
un bell’esempio di come la realtà, o quello che per realtà si fa passare,
superi la fantasia. Rodolphe, in fondo, oltre che ricco e granduca,
è un pezzo di marcantonio, perfettamente in grado di cavarsela nelle situazioni
pericolose. Alla sua emula d’oggi quattrini e titoli non fanno difetto,
ma è pur sempre una fragile donna di mezza età, cui chiunque perdonerebbe
una certa qual riluttanza ad affrontare il popolo dei bassifondi. Invece
no: la intrepida ha sfidato la Stazione Centrale, si è spinta in via Novara,
in via Imbonati, in via Porpora, in via Restelli… E mentre il principe
di Gerolstein poteva agevolmente mimetizzarsi travestendosi da operaio
(allora ce n’erano tanti…) è difficile immaginare come si possa camuffare,
oggi, donna Letizia. Da operaia certamente no: è una tipologia, quella,
che nella Milano notturna – e diurna – di oggi risalterebbe più
del carbone sulla neve. Lei sta sul vago, ovviamente, se no le verrebbe
meno l’indispensabile incognito, ma il campo delle ipotesi non è poi così
vasto. Da punk forse, con o senza cani al seguito, o da ragazzotta
dei centri sociali, tutta piercing e tatuaggi, o da extracomunitaria addetta
alle pulizie notturne. Difficile trovare in giro molte altre figure
femminili nel deserto della Milano notturna, almeno al di fuori delle aree
dei locali, tipo Brera, il Sempione o il Ticinese. E anche punk,
ragazzotte ed extracomunitarie in via Novara e in via Imbonati sarebbero
guardate con un certo sospetto.
Perché,
a pensarci, c’è un altro problema. La Parigi del Sue era, anche
di notte, un carnaio, un formicolare di tipi umani in mezzo ai quali non
doveva essere difficile scomparire. A Milano, sempre a parte le zone
dei locali, dove la nostra potrebbe eventualmente esibirsi come venditrice
di fiori, di notte non c’è in giro nessuno. Anche la Stazione Centrale,
tutto sommato, non offre grandissime occasioni. Sì, è vero, la sindaca
si preoccupa soprattutto di sicurezza e alcuni di quei posti di notte sono
meno sicuri che di giorno, anche se restano molto al di sotto del livello
di pericolosità di altre metropoli europee ed extraeuropee. Ma una
volta stabilito che lì c’è un problema di quel tipo, che bisogno c’è
di andare a indagare di persona? Di notte, in fondo, la città non
rivela il suo aspetti peggiore. Chi ha una casa generalmente ci si
rinchiude e chi ne è privo sparisce, almeno in via provvisoria. Il
traffico è più fluido, l’inquinamento minore, i mezzi pubblici, pur se
scarsini, non sono affollati e – soprattutto – il buio ingoia e
pietosamente nasconde gli orrori architettonici, le nefandezze urbanistiche,
gli scempi pubblicitari, gli innumerevoli abusi di cui muore, grazie all’opera
della sua classe dirigente, la nostra città.
Forse
la signora Moratti, travestita o meno, farebbe meglio a frequentare Milano
di giorno. È nel trantran delle ore di punta che si coglie la quotidiana
difficoltà del vivere, la faticosa sgradevolezza che ormai contraddistingue
una città nota un tempo per essere ospitale e generosa. È di giorno
che i diseredati si affollano ai semafori per esibire le proprie mutilazioni,
che si notano le saracinesche abbassate, che ci si accorge del degrado
e della sporcizia dei quartieri e si può riflettere sul relativo contrasto
con le isole luccicanti del centro. Ed è durante l’orario di lavoro,
si capisce, che ci sarebbe soprattutto bisogno di servizi efficienti e
diffusi, in grado di facilitare la vita di quei milioni di persone, tra
residenti e pendolari, che qui si affollano per produrre la ricchezza di
cui godono i ceti privilegiati.
Non è neanche necessario, per accorgersene,
mangiare nelle mense scolastiche e viaggiare in metropolitana. Il
problema delle mense è che costano troppo e quello del metrò che ce ne
vorrebbero sei o sette linee in più, per fare una rete degna di una grande
città europea, ma è difficile che la sindaca non lo sapesse prima ancora
di venire eletta. Per cui può andare anche in taxi, se vuole, ma
senza scordarsi di fare qualche rapido calcolo mentale su tempi di percorrenza
e tariffe, e può benissimo farsi ogni tanto un panino in uno dei bar cui
si rivolgono i milanesi in pausa pranzo, riflettendo – se, nella calca,
ci riesce – sul rapporto qualità prezzi. O, meglio ancora,
se ne stia nel suo ufficio, con le tende abbassate per non essere offesa
dalla vista dello scempio che il suo predecessore ha fatto della Scala,
e rifletta, com’è suo dovere, sui dati che certamente la macchina comunale
ogni giorno le sottopone. Le ronde notturne le lasci ai bei tenebrosi
del romanzo popolare, un ruolo che, per tutta una serie di ragioni, non
fa decisamente per lei. In quelle opere glie ne toccherebbe piuttosto
un altro, che so, quello, tutt’altro da disprezzare, della belle dame
sans merci. Su di esso si potrebbe misurare con profitto, cercando,
beninteso, di non fare la fine della perfida Milady e di non ricordare
troppo da vicino il modello di Crudelia Demon.
21.01.’07
Nota
Les Mystères de Paris furono pubblicati,
appunto nel 1842-’43, in appendice al “Journal des Débats” di Parigi
e successivamente raccolti in 10 volumi. Il superuomo di massa di
Umberto Eco è apparso per i tipi della Cooperativa Scrittori, a Milano,
nel 1976: il saggio Eugéne Sue: Il socialismo e la consolazione, nato come
prefazione a un’edizione italiana del romanzo (Milano, Sugar, 1965) si
legge a pagg. 35-77 e resta invariato nella seconda edizione ampliata della
raccolta (Bompiani, Milano 1978). Sul “bel tenebroso” e la “belle
dame sans merci” resta fondamentale Mario Praz, La carne, la morte e il
diavolo nella letteratura romantica, Firenze, 1930. Sui rapporti
tra il feuilleton e il romanzo popolare contemporaneo si può anche vedere
il mio Storia sociale del giallo, Todaro, Lugano, 2003.