I cittadini ideali

La caccia | Trasmessa il: 02/07/2010


    Spero abbiate apprezzato il progetto di “permesso di soggiorno a punti” messo recentemente a punto dal ministro dell'interno, in accordo con il collega del Welfare. Io, personalmente, lo ho trovato uno dei documenti più straordinari che i nostri reggitori abbiano mai concepito. Anche nella patria del gratta e vinci e dei telequiz, in effetti, era necessario un bel volo di fantasia per organizzare in quella forma la residenza degli stranieri e di tanto sforzo alla coppia Maroni-Sacconi va dato il debito atto. Se poi si pensa che, senza dirlo a nessuno (e con un semplice atto amministrativo), i due sono riusciti a complicare ulteriormente la vita degli estracomunitari e a creare nuove opportunità per rimandarli, come si dice, a casa loro, be', non si può non ammettere che il loro è semplice genio.
    Sembra infatti che, a breve, agli immigrati per avere l'alto onore di lavorare per noi non basterà più attenersi alle norme, pur vessatorie, della Bossi-Fini. Essere “in regola”, in sostanza, sarà ancora più difficile. Per avere l'agognato permesso, infatti, bisognerà firmare un “accordo per l'integrazione”, qualsiasi cosa esso sia, e aderire “alla Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione”, impegnandosi a rispettarne i principi”. Quali siano questi principi, per ora, non si precisa, ma si sa già che la firma comporta l'impegno “a farsi carico di una serie di obblighi e adempimenti che solo se portati a termine permetteranno di raggiungere i 30 punti necessari per ottenere il documento”.
    Già l'idea in sé di stabilire un punteggio sui valori, in quello che finora non si è ancora costituito come uno stato etico, meriterebbe qualche commento. Ma è l'elenco degli adempimenti previsti (che devono, si badi, essere realizzati entro due anni, se no a casa) che dà sostanza a quella pretesa ed è su di esso che vale la pena di soffermarsi.
    Dunque, all'extracomunitario in visita, oltre che di esibire un contratto di lavoro e dimostrare la disponibilità di una casa in cui vivere (bazzecole, naturalmente) sarà richiesto di conoscere la lingua italiana. Nulla di più naturale, direte, visto che difficilmente chi intende risiedere nel paese può farne a meno, anche se, a dire il vero, di un simile obbligo per i cittadini non vi è traccia da nessuna parte e, in effetti, può capitare di sentire persino dei ministri e dei leader politici insigni far scempio senza remore dell'idioma nazionale, come dimostrano, tanto per dire, il tormentato rapporto dell'onorevole Casini con i congiuntivi o la peculiare impostazione sintattica del ministro Bossi. Ma non tanto una semplice conoscenza si chiede, che sarebbe troppo facile, quanto l'aver frequentato con profitto un apposito corso e sarebbe interessante sapere a chi toccherà organizzarlo e procedere alla valutazione. E siamo solo all'inizio. Ai migranti si richiederà, in seconda istanza, di “acquisire” (non si spiega come) “la conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica”, vale a dire di un documento che il tipo che sta al governo ha definito, una volta, “di tipo sovietico” – e non per fare un complimento, – che dichiara ogni due per di volerlo cambiare e che sistematicamente viola attraverso la legislazione ad personam. Dovranno inoltre dimostrare “una adeguata conoscenza della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e degli obblighi fiscali”, che non è chiaro cosa voglia dire, ma non è certo privo d'interesse nel paese che vanta il maggior numero di evasori dell'intero Occidente. Infine, per evitare l'espulsione, saranno tenuti “ad assolvere l'obbligo dell'istruzione per i figli minori”, quello, cioè, che , come ricorderete, si assolve in scuole in cui agli extracomunitari, da un po', è stato imposto un tetto massimo di presenze per classe, senza che sia prevista alcuna attività di sostegno.
    Il trucco consiste nel fatto che, a prima vista, tutto questo sembra abbastanza ovvio, nel senso che a chiunque, extracomunitario o meno, conviene parlare la lingua, conoscere le leggi, sapere com'è organizzata la vita civile e mandare i figli a scuola. Da un certo punto di vista, anzi, non di obblighi in senso stretto si tratta, ma di diritti, nel senso che spetta allo stato e ai suoi organi far sì che tutti abbiano la possibilità di adempirvi. Uno stato che non organizzasse un bel niente, ma si limitasse a pretendere dagli immigrati (e solo da loro) la relativa certificazione, non farebbe altro che prenderli in giro. E qui sta il punto, perché la proposta, così come è formulata, significa solo che i lavoratori stranieri saranno accettati solo a patto di essere già integrati perfettamente, di essere, anzi, dei veri e propri cittadini ideali, di quelli da cui non ci si aspetta il minimo sgarro, la minima devianza dai modelli vigenti. Il che, francamente, non sembra dimostrare una particolare propensione all'accoglienza. Dimostra – al contrario – una dose massiccia di malafede, perché ad accettare degli immigrati così sono bravi tutti, una malcelata volontà di vessazione e discriminazione. Sotto questo aspetto ai ministri Sacconi e Maroni sarà giusto assegnare da subito, e senza obbligo di certificazione, il massimo dei punteggi.

    07.02.'10