I cavalieri e le dame

La caccia | Trasmessa il: 04/29/2012


    I cavalieri e le dame

    In un celebre passaggio del suo Ivanhoe, quando descrive l'ingresso dei partecipanti al torneo di Ashby-de-la-Zouche, Walter Scott sente il bisogno di rompere la finzione narrativa per ricordare ai lettori che quanto sta descrivendo appartiene irrevocabilmente al passato. Lo fa, come sempre, con molta eleganza, citando un frammento di Coleridge e ricordando, in poche, intensissime righe come da lungo tempo gli stemmi che pendevano dalle mura dei castelli si fossero fatti polvere, dei castelli stessi non restassero che cumuli erbosi e disperse rovine e il luogo che un tempo conosceva quei valorosi più non serbasse traccia di loro e delle loro gesta. E tuttavia, – scrive – per nulla preoccupati dell'oblio che attendeva i loro nomi, i cavalieri avanzavano nel recinto mettendo in mostra tutta la loro caduca abilità ed eleganza, perché naturalmente quello di essere, presto o tardi, dimenticato è destino comune dell'uomo, ma nessuno ci pensa volentieri.
    Vi sembrerà strano, ma questo brano mi è tornato in mente leggendo, pochi giorni fa, delle ultime dichiarazioni dell'unico cavaliere della nostra storia recente, quelle che Berlusconi ha reso ai giornalisti in margine al suo processo, vaneggiando – senza tema di gaffes o di giochi di parole – di burlesque e di tendenza femminile all'esibizionismo. Come i suoi antichi colleghi nel cavalierato, il personaggio sembrava davvero appartenere a un passato remoto. Avesse detto le stesse cose appena un anno fa, non ci sarebbero stati titoli sufficienti sulla stampa nazionale per riferirne. Ci si sarebbero buttati tutti a pesce, dai grandi del giornalismo in giù, e ne sarebbe seguito un profluvio di polemiche, di chiacchiere nei talk show, di articoli di fondo su “Repubblica”, di interventi delle onorevoli Biancofiore e Bernini, di puntualizzazioni di Fabrizio Cicchitto, di analisi semiologiche e chissà di che altro. Adesso non gli ha badato nessuno nemmeno di striscio: quelle inconsulte parole sono state riportate dai media per dovere di cronaca, ma nessuno si è sentito in dovere di insistervi, né tra gli amici né tra gli avversari. Berlusconi, al momento, non fa più notizia.
    D'altro canto, in quegli stessi giorni uscivano in formato audio le telefonate intercettate alle ragazze dell'Olgettina, quelle in cui Ruby dichiara candidamente di percepire 47 mila euro a settimana e rivela di aver richiesto, tramite il suo avvocato, un bonus di cinque milioni per dire che erano “tutte cazzate”, dimostrandosi perfettamente consapevole di come il proprio valore commerciale dipendesse dal fatto di essere minorenne, per cui il suo caso andava considerato “molto più grave” di quello della Letizia e della D'Addario e “lui”,il cav, appunto per questo, si era dichiarato disposto a “ricoprirla d'oro”. E le intercettazioni non riguardavano solo la non-nipote di Mubarak. I cittadini interessati a questo tipo di cose hanno finalmente a disposizione il viva voce del toccante colloquio con un'amica in cui la consigliera Minetti si dichiara entusiasta all'idea di presentarsi ad Arcore vestita da maestra e precisa che si porterà dietro gli occhiali da vista e il reggicalze, “così poi quando mi tolgo tutto ho sotto l'intimo sexy”. Possono attingere con le proprie orecchie dalla stessa fonte l'ormai celebre classificazione tipologica delle frequentatrici delle “cene eleganti” di Silvio: la zoccola, la sudamericana che viene dalle favelas, quella un po' più seria, la via di mezzo ... e poi lei – la Minetti – che fa quello che fa. E sono, questi preziosi reperti, soltanto una scelta tra una quantità di altri, un fior da fiore in un corpus di pettegolezzi, accuse, querimonie, invettive reciproche in cui le frequentatrici abituali delle cene del capo del governo danno dell'ambiente che girava attorno al loro ospite la più vivace e la più desolante delle descrizioni. Certo, molto è materiale già noto, ma molto è inedito, e comunque, nell'immediatezza della registrazione fa molto più effetto che in forma trascritta. Tutto ciò, tuttavia, se non è proprio passato sotto silenzio, certamente è stato trattato con una certa indifferenza. Non ha scatenato le cupidigie mediatiche che ci saremmo potuti immaginare. Qualcosa ha trasmesso il TG3, “Repubblica” ci ha fatto un paginone martedì scorso, ma più che altro per dovere di ufficio, visto che è sul suo sito che le registrazioni vengono pubblicate, e poi, praticamente, basta. Gli altri organi di stampa non se ne sono curati e hanno dato molto più spazio alle malfrequentazioni caraibiche di Formigoni. Sì, Berlusconi e la sua corte non sono esattamente caduti nell'oblio, ma non fanno proprio notizia.
    Quelle storie, quegli intrighi, quei nomi, in effetti, sembrano provenire da un'altra epoca. È tutta roba dell'anno scorso, in realtà, non dista dal nostro presente che una manciata di mesi, ben poca cosa rispetto ai secoli che separavano lo Scott dai suoi cavalieri, ma non c'è santi, l'impressione che se ne ricava è quella di un materiale irrimediabilmente preterito. È come se l'Italia si fosse destata da una specie di brutto sogno a occhi aperti e abbia capito di aver perso una quantità inconsulta di tempo occupandosi delle frivolezze che il suo più importante uomo politico instancabilmente gli proponeva, come una variopinta cortina di fumo dietro la quale nascondere una realtà sempre più preoccupante. Le storiacce delle dame e dei cavalieri (anzi, del Cavaliere) dell'Olgettina erano pruriginose e un po' squallide, ma più divertenti da seguire della realtà del debito pubblico, della crisi finanziaria e della recessione, come a dire delle prospettive di catastrofe pubblica e privata che incombevano (e continuano a incombere) sul paese. I talk show televisivi sul caso Ruby, e prima di lei sui casi Noemi e D'Addario) erano a un livello culturale e civile invero assai basso, ma meno inquietanti di quelli sull'Imu e sullo spread. L'arcigno governo dei tecnici, con le mazzate che così liberalmente distribuisce, in un certo senso ci ha aperto gli occhi, facendoci capire che il problema non consisteva soltanto nella presenza di quel pittoresco personaggio a Palazzo Chigi e nelle figuracce che ci faceva fare in sede diplomatica. Il problema era quello dell'inadeguatezza del ceto dirigente di cui colui era leader e modello e degli errori di cui loro sono responsabili, ma dei quali tocca a noi, adesso, far penitenza. Per questo sono bastati pochi mesi perché su quei personaggi e sulle loro imprese si posasse la polvere della dimenticanza. A quel passato, pur così prossimo, nessuno ha davvero voglia di ritornare. Ci siamo già divertiti abbastanza, grazie.





    Nota

    Nell'edizione "I grandi libri Garzanti" dell'Ivanhoe di Walter Scott, traduzione di Laura Ferruta, XII edizione, Milano 1992, il passaggio citato, dal capitolo VIII, si trova a pag. 112.