A proposito di liceo: è stato Gorgia,
nel V secolo a.C., a spiegare, nella Difesa di Elena, che la parola è un
dio potente che, pur avendo esile il corpo, può realizzare grandi cose,
come rendere grande ciò che è piccolo, debole quello che è forte, chiaro
l’oscuro e viceversa. Una dichiarazione di apparente relativismo,
che turbò le menti pensose dell’epoca: Platone, per controbatterla, in
pratica inventò la filosofia e che Dio lo perdoni. Di fatto, il sofista
siceliota esercitava ad Atene la professione del maestro d’oratoria ed
è probabile che quella formula, più che mettere in dubbio l’ontologia
dei predicati, intendesse sottolineare i vantaggi che si potevano trarre
dalle sue lezioni. Si riferiva, naturalmente, alla parola parlata,
anzi, declamata in assemblea – che era, allora, l’unico strumento noto
di comunicazione di massa – e il concetto base era quello per cui chiunque
ne padroneggiasse la tecnica aveva delle buone possibilità di gabbare il
prossimo. Che non sarà un’affermazione ineccepibile sul piano morale,
ma ha il vantaggio, se non altro, di essere sincera. I filosofi,
in nome della verità assoluta, hanno fatto più danno.
Se
vi chiedete cosa diavolo c’entrino queste vecchie polemiche con i nostri
tempi agitati, vuol dire che non avete seguito le vicende che hanno scosso
Milano nella settimana trascorsa. Che non avete letto, in particolare,
il testo dell’accordo siglato a livello locale tra i sindacati confederali
e l’ATM, quello che ha posto fine, giovedì all’alba, allo sciopero “selvaggio”
(o presunto tale) degli autoferrotranvieri.
Certo,
non è quello un testo da declamare in pubblico. Abbiamo superato
la fase della comunicazione “aurale”, come si dice, e oggi è la carta
che canta. Ma di testi altrettanto ambigui, altrettanto capaci, se
non proprio di rendere chiaro quello che è oscuro, di oscurare quello che
è chiaro, Gorgia in persona non avrebbe saputo dare esempi altrettanto
significativi. E dire che gli estensori avevano davanti a sé un problema
titanico, quello di far sì che ambo le parti potessero sostenere di avere
vinto. Dovevano assicurare ai lavoratori incazzati che nessun ulteriore
sacrificio, in termini di orario e flessibilità, veniva loro richiesto
in cambio di quei pochi, maledetti euro cui, tutto sommato, avevano già
diritto da anni, e di permettere al tempo stesso ad Albertini di vantarsi
– com’è suo costume – di aver inflitto a quei riottosi delle perdite
sanguinose. E dovevano sciogliere il nodo di un accordo locale che
vale come integrazione a un contratto nazionale che gli scioperanti avevano
già rimandato al mittente e che adesso, in nome degli euro di cui, gli
si chiedeva di trangugiare, al prezzo di rompere la solidarietà con i colleghi
delle altre sedi. Dovevano, insomma, assicurare la possibilità di
una doppia, opposta lettura e hanno fatto del loro meglio. Hanno
scritto che “le parti si riservano di sottoporre la presente ipotesi ai
rispettivi organi di riferimento per sciogliere la riserva entro il 31
gennaio 2004”, che sembra una banalità, ma siccome il 31 gennaio è la
data entro cui va confermato l’accordo nazionale banale proprio non è,
e hanno aggiunto per buona misura che l’accordo impegna a “riavviare
il confronto sulla proceduralizzazione del conflitto”, che in italiano
non vuole dir nulla, ma in gergo sindacale indica la disponibilità ad accettare
limitazioni alla libertà di sciopero, tipo l’obbligo di preavviso. Non
hanno assunto, cioè, degli impegni precisi, ma hanno fatto balenare la
disponibilità ad assumerne, secondo una tecnica che in teoria dovrebbe
essere sentita come una presa in giro, ma in pratica serve a metter d’accordo
le parti sulla base di un equivoco calcolato. Hanno dimostrato, insomma,
che la parola è un dio potente, che pur avendo esile il corpo permette,
se necessario, di far ripartire i tram.
Non
si può fare a meno di ammirarli. E anche se le competenze necessarie
per ottenere risultati del genere non sembrano esattamente quelle utili
a far funzionare i servizi di una grande città sotto il profilo delle relazioni
industriali, bisogna ammettere che quanto a sofismi i loro portatori non
lasciano a desiderare. La cultura classica, evidentemente, serve
sempre a qualcosa. Sarà per questo che vogliono andare tutti al
Berchet.
18.01.’04