Gli dei, il ministro e la vergogna

La caccia | Trasmessa il: 11/22/2009


    Dev'essere vero che a coloro che vogliono mandare in rovina gli dei per prima cosa tolgono il senno, o, se preferite l'originale latino in versione monoteistica, che quos deus perdere vult prius dementat. Pensate al ministro Alfano e alle sue recenti dichiarazioni al question time della Camera dei deputati. Forse non lo rovineranno del tutto, perché in Italia abbiamo imparato che a quello che dice un ministro, alla Camera o altrove, si può non badare, e può anche darsi che di senno quel poveretto non ne avesse molto di suo già da prima, perché non occorre una grande intelligenza per fare il tipo di carriera che ha fatto, ma solo l'intervento di un dio particolarmente dispettoso può avergliele ispirate. Perché venire a spiegare, come ha fatto lui, che la prevista legge sul processo breve, quella che pone un limite di sei anni ai tre gradi di giudizio pena la cancellazione dell'accusa, segherà al massimo l'un per cento dei processi in corso “senza calcolare l'incidenza delle assoluzioni” è, dal punto di vista polemico e comunicazionale, un vero e proprio disastro.
    Di quella legge, ricorderete, abbiamo già parlato domenica scorsa e vi ho confidato che, salvo qualche riserva sulle intenzioni di chi l'ha proposta, non la vedevo poi così male. Non scherzavo, eh, né volevo fare dell'ironia: ripetevo un giudizio largamente diffuso, quello per cui la durata del processo medio, in Italia, è uno scandalo insopportabile e qualcosa, per porvi fine, va fatto. Ma se il Ministro Guardasigilli ci assicura che l'auspicato provvedimento non avrà effetto che sull'un per cento delle cause pendenti, be', capirete anche voi che le cose cambiano di parecchio. Vuol dire che in questo nostro felice paese il 99 % dei dibattimenti sono destinati a risolversi in via definitiva entro i sei anni canonici, che è una percentuale – credo – da Guinness internazionale dei primati e significa che il sistema giudiziario nazionale funziona con la precisione e la regolarità che di solito si associano agli orologi svizzeri e non c'è alcun bisogno, quindi, di una legge che, a costo di fastidiose forzature costituzionali, si prefigga di indurre la magistratura ad accorciare ulteriormente quei tempi. Più in generale, che un importante esponente della maggioranza venga a spiegare che un provvedimento proposto con urgenza dalla sua parte avrà degli effetti statisticamente irrilevanti, che è quasi come dire che non servirà praticamente a nulla, si può spiegare soltanto come un caso di improvviso obnubilamento del suo sentire. Perché a coloro che vogliono mandare in rovina gli dei per prima cosa eccetera eccetera.
    Altre ipotesi, esclusa, per ovvi motivi di rispetto, quella che il ministro sia in malafede o che abbia fatto confusione con i numeri, non mi sembra se ne possano trovare. Salvo, forse, una: quella che Sua Eccellenza tenda a minimizzare perché, in sostanza, si vergogna. Si vergogna di una proposta della quale, da esperto giurista, vede le magagne e della quale conosce fin troppo bene il fine privatistico e personale e, pur costretto a farsene zelatore, perché quella legge serve a Berlusconi e a Berlusconi lui è totalmente devoto, cerca, con sincero sforzo, di convincere se stesso e gli altri che no, i danni che molti paventano non ci saranno. Sarà annullato solo l'un per cento dei processi in corso, processi in molti dei quali gli imputati potrebbero persino essere assolti: che volete che sia? E non capisce che così è ancora peggio, perché quando gli dei gli mandano un ministro che si vergogna dei provvedimenti che porta avanti un paese non ha nemmeno bisogno di essere mandato in rovina perché in rovina ci è già.
22.11.'09