Giocattoli per adulti

La caccia | Trasmessa il: 03/16/2003




Giocattoli per adulti


Il “Corriere della sera” di martedì 12 marzo pubblica in prima pagina senza commenti il fotocolor del giocattolo di “Osama arrestato dagli americani”, precisando in didascalia che si tratta di un manufatto di produzione cinese, in vendita oggi nel Pakistan.  L’oggetto in sé non è particolarmente sofisticato: si tratta, in sostanza, di una semplice macchinina di plastica, la riproduzione di un pick up della polizia militare, completa di luci rotanti, sirena e bandiera a stelle e strisce, sul cui pianale si dispongono, nella classica posizione del Pinocchio tra i due carabinieri, la figurina di un Bin Laden barbuto e inturbantato e quelle di due militari, presumibilmente statunitensi, in pieno assetto di guerra.  Le figurine sono un po’ rigide, con quei loro tratti approssimativi tipici delle Barbie di questo mondo (nulla di paragonabile, se ben ricordo, agli splendidi soldatini di cartapesta della mia infanzia), ma la riconoscibilità del personaggio è discreta e il valore ideologico della situazione sembra garantito. È evidente che chi ha ideato, prodotto e messo in vendita quel giocattolo ha inteso offrire ai piccoli destinatari il modo di immedesimarsi con quanti aspirano – per ora senza riuscirci – a mettere le mani sul feroce sceicco saudita, con evidenti vantaggi per lo sviluppo emotivo e la crescita democratica delle più giovani generazioni.  Si tratta, ostensibilmente, di un tipico gioco di propaganda, in nulla dissimile dai tanti che sono stati confezionati nel corso dei secoli nel presupposto, normalmente fallace, che i bambini siano o debbano essere interessati alle stesse cose per cui ci arrovelliamo noi adulti.

       Vi confesso, tuttavia, che su quel giocattolo mi piacerebbe avere qualche informazione in più.  Mi interesserebbe, in particolare, sapere se sia  in vendita soltanto in Pakistan o si trovi anche altrove. Non riesco a immaginare quante famiglie, in quello sfortunato paese, possano permettersi di comperare per i propri bambini un oggetto che, ancorché evidentemente prodotto al risparmio, meno di due o tre o dollari al pezzo non può costare (e si sa che laggiù ci sono parecchie famiglie che con due o tre dollari, ad averceli, devono campare una settimana).  E non so neanche quanti siano i genitori, in Pakistan o nei paesi circonvicini, che gradirebbero senza riserve che i loro figlioletti si immedesimino in quella situazione: la diffusione della democrazia nel Terzo Mondo, com’è noto, è ancora imperfetta e in molti paesi dell’Asia (e non solo) può succedere di trovare degli ottimi padri di famiglia che, per un motivo o per l’altro, hanno una certa tendenza a non identificarsi con Bush e a vedere Osama e altri figuri con una simpatia che, ai nostri occhi, non meritano.  Anzi, conoscendo lo spirito eminentemente pragmatico degli imprenditori cinesi, non sarei sorpreso nello scoprire che di quel giocattolo esiste una variante, diciamo così, “islamica”, in cui è la figurina di Bush a trovarsi in manette e quelle dei suoi custodi rappresentano due miliziani di al Qaida.  E forse l’ipotesi non è neanche necessaria, perché chiunque abbia una vaga idea della capacità che hanno i bambini di astrarre, giocando, dagli elementi concreti che gli vengono sottoposti, sa benissimo come, di fronte alla combinazione marines, camionetta, e Bin Laden, i nostri piccoli amici sono in grado di elaborare gli schemi ludici più diversi, dal gioco di Osama catturato dagli americani, appunto, a quello di Osama che scappa e lascia gli americani con tanto di naso.
       In ogni caso, non penso che comprerei quel giocattolo per i miei nipoti, anche se non fossero tutti ormai troppo cresciuti per giocare con i soldatini.  E non solo perché non credo, sinceramente, che gli interessi dei bambini debbano riflettere a specchio i nostri.  Il fatto è che non vorrei che, entrando un po’ troppo nello spirito del gioco propostogli, le creature si chiedessero cosa fare di un Bin Laden felicemente catturato.  Ammetterete anche voi che i suggerimenti in merito che si possono estrapolare dagli articoli degli specialisti non sono, per un verso o per l’altro, particolarmente educativi.  Appena un paio di giorni prima della pubblicazione di quella foto, lo stesso “Corriere” riferiva, senza battere ciglio, delle tecniche di “pressione” impiegate sui supposti due figli di Osama catturati, in circostanze oscure, proprio alla frontiera pachistana.  Era una lista da far rizzare i capelli, che pure si esibiva con tranquillità e si illustrava, per maggiore chiarezza, con una colonna di quei disegnini che oggi i quotidiani impiegano per alleggerire l’impaginazione: privazione del sonno, niente acqua, luce sempre accesa, lunghi periodi a occhi bendati, pasti serviti a orari irregolari per “rompere l’orologio biologico” e via torturando.  Sono gli strumenti classici della cosiddetta “deprivazione sensoriale”: un codice di trattamento che esprime, certo, la dura necessità di acquisire delle informazioni necessarie a scopo di autodifesa, ma che non credo sia del tutto estraneo al gusto della vendetta, alla soddisfazione del dente per dente, alla desolante rinuncia a ogni pretesa di distinguersi dall’avversario su un piano di moralità.  Per i bambini, francamente, non è una lezione che mi sentirei di raccomandare.

       Più in generale, non mi dispiacerebbe che i nostri posteri immediati crescessero con la consapevolezza che il terrorismo è una gran brutta cosa, figuriamoci, ma non si risolve con la cattura (e l’eventuale, successivo massacro) dei terroristi, perché la distribuzione delle ragioni e dei torti è sempre una faccenda assai complicata e quello che importa, in ogni caso, è l’eliminazione alla radice dei fattori che delle azioni criminali di quel tipo provocano e giustificano l’iniziativa e favoriscono la diffusione.  Che detta così, lo so anch’io, è un’affermazione un po’ generica e suona – anzi – piuttosto melensa, ma non mi sembra che qualcuno sia riuscito finora a escogitare qualcosa di meglio e comunque al buon senso generico e un po’ melenso vale la pena di attaccarsi come l’ostrica al proverbiale scoglio quando si è, come siamo, sull’orlo del baratro e coloro che dovrebbero avere la responsabilità di tenercene lontani non riescono a esprimere altro che sesquipedali cazzate.   Che se poi certi giochi si limitassero a giocarli tra loro, poco male: il guaio è che sono fermissimamente intenzionati a tirarci dentro anche noi.


16.03.’03