Gesti simbolici (e no)

La caccia | Trasmessa il: 01/25/2009


    Non mi sembra abbia avuto particolare successo, martedì scorso, il lancio di calzature organizzato sotto la sede del “Corriere della Sera” per protestare contro lo stile e i criteri con cui quel quotidiano aveva riferito (e continua a riferire) della crisi di Gaza: saranno stati presenti, stando alla cronaca, non più di una trentina di lanciatori, provvisti di una media di due paia scarse di scarpe a testa. Analoghe cifre, d'altronde, si erano avute il lunedì precedente sotto la sede RAI di corso Sempione. E visto che l'esiguità dei numeri non può essere ricondotta sic et simpliciter alla debolezza del movimento per la pace – che a Milano, lo sappiamo, non è in una fase di particolare fioritura, ma dovrebbe essere comunque in grado di portare in piazza qualche militante in più – un qualche tentativo di spiegazione si impone. Evidentemente l'invito non ha toccato nei milanesi delle corde sensibili. Io stesso, che pure abito a pochi metri da uno dei due obiettivi e a non più di quattro fermate di autobus dall'altro e per vari motivi dispongo di un ingente quantitativo di scarpe fuori misura, che avrei potuto senza alcun sacrificio mettere a disposizione della causa, non me ne sono sentito coinvolto. Il gesto del giornalista irakeno Montazer al-Zaidi, che lo scorso 15 dicembre aveva lanciato contro l'allora presidente Bush in visita a Baghdad appunto le sue scarpe, a rischio di finire, com'è finito, in galera, ha avuto una straordinaria copertura mediatica – cercando su Google sotto la voce “lancio di scarpe a Bush”, in italiano, si trovano non meno di 134.000 pagine Internet – e ha ispirato persino un videogioco, ma non ha suscitato troppi imitatori. Anche a Washington, DC, coloro che avevano deciso di presentare analogo omaggio a George W. in occasione della sua ultima serata alla Casa Bianca, il 19 gennaio, si sono ritrovati in Pennsylvania Avenue in non più di sessanta.
    È probabile che il mancato appeal del gesto sia dovuto alla sua scarsa o nulla portata simbolica. In fondo, anche l'ottimo al-Zaidi vi aveva ricorso per pura e semplice necessità. Voleva lanciare qualcosa addosso a Bush, un desiderio legittimo e per molti aspetti encomiabile, ma una volta giunto nella sala della conferenza stampa presidenziale, dopo aver superato – supponiamo – chissà quali e quanti controlli della security, si è trovato a non disporre di altro di lanciabile che le sue proprie scarpe. Cavandosele in un baleno dai piedi e proiettandole verso l'oggetto del suo risentimento ha dimostrato prontezza d'ingegno e rapidità di riflessi, ma sopratutto in considerazione della situazione in cui si trovava. Altrettanta prontezza e rapidità, d'altronde, ha dimostrato il presidente scansandosi, per cui l'incontro, tecnicamente, si è potrebbe considerare risolto con un pareggio. Le scarpe, comunque, non rivestono significati particolari nell'immaginario collettivo e come oggetti da lancio presentano più di un problema. Devono essere, per poter essere vibrate e scagliate con la necessaria precisione, di un tipo abbastanza pesante, il che presuppone la possibilità di acciaccare in qualche modo il bersaglio, ove si riesca a coglierlo, ed elimina ipso facto il gesto dal repertorio delle forme di protesta nonviolente. D'altro canto, eventuali cultori di manifestazioni di dissenso più muscolari potrebbero giudicare insoddisfacenti le loro capacità di offesa. Ma, a parte questa considerazione, che non tocca noi pacifisti, è davvero molto probabile che lo stesso al-Zaidi avrebbe preferito di gran lunga fare di Bush l'oggetto di un lancio di uova o di ortaggi e ne sia stato impedito solo dal fatto che in nessun modo sarebbe stato ammesso in sua presenza con un cesto di uova o una corbeille di pomidoro.
    Sembra difficile, dunque, che in futuro il lancio delle scarpe si ritagli un suo spazio, accanto ai girotondi, alle fiaccolate, ai picchetti, allo streaking e via dicendo nel repertorio delle forme di protesta più o meno alternative. Ma va anche detto che questa difficoltà non inficia in alcun modo la portata e la rilevanza del gesto del collega irakeno. Se non ha senso lanciare (o deporre) delle calzature davanti alla sede di un quotidiano o a quella della RAI, ciò non significa che sia altrettanto insensato lanciarne addosso a Bush. Anzi, sono sicuro che converrete con me che c'è qualcosa, nell'espressione e nei lineamenti dell'ormai ex presidente degli Stati Uniti che richiede, addirittura invoca, l'arrivo a parabola di uno scarpone robusto o di un paio di mocassini da pioggia. Si tratta, lo ammetto, di una impressione difficile da motivare, del frutto di una di quelle consapevolezze costruite per via subliminale di cui ci parla Charles S. Peirce, ma credo proprio di potermene fidare.
    Permettetemi, piuttosto, di esprimere una riserva. Quel gesto, a Bush, potrebbe persino giovare. Dopo tutto, un'aggressione tanto insolita conferisce colore e vivacità a una biografia piuttosto spenta e aumenta le probabilità del soggetto di tramandare il proprio nome ai posteri in forma memorabile. Mi spiego: ci sono stati parecchi altri presidenti del tutto inetti, né colui è l'unico che sia giunto al potere sul filo della frode, che abbia spudoratamente mentito ai suoi stessi elettori, che abbia coinvolto il paese in una guerra assurda e dolorosa e si sia, in generale, dimostrato clamorosamente al di sotto del proprio compito, ma è l'unico – assolutamente l'unico – contro il quale siano state lanciate delle scarpe. Anche di queste piccolezze si alimenta la Storia.

    Vedremo. Per intanto, visto che il tempo fugge rapido e irrevocabile e, come insegnava sir Robert Baden-Powell, bisogna essere preparati, sarà bene cominciare a pensare, per quando Obama, come inevitabilmente accadrà, ci avrà deluso, a che cosa lanciargli.

    25.01.'09


    Nota

    Per Charles S. Peirce cfr. il suo celebre Guessing, in “The Hound and Horn”, n. 2, 1929, tr. it. Guessing: inferenza e azione, “Il Protagora”, fascicolo speciale “La ragione abduttiva”, a c. d. Massimo Bonfantini e Mauro Ferraresi, n. 6, Milano 1984.