Spero proprio che non vi sia sfuggito
un trafiletto pubblicato sul “Corriere” di lunedì scorso (19.03.’01)
nella rubrica Uomini e media di Dario Di Vico. Vi si riferisce di
un “manifesto” firmato da una quindicina di politici e giornalisti oggi
vicini al Polo, ancorché provenienti, ab origine, da tutt’altri schieramenti.
Costoro mettono le mani avanti e invitano a diffidare “della gigantesca
ondata di gattopardi e voltagabbana” che si apprestano ad aderire, nella
previsione di un suo trionfo e della connessa capacità di elargire sostanziose
prebende, a quella parte politica. Di fronte alla sgradevole prospettiva
di dover fare a pugni con un esercito di parvenus, i firmatari, che, a
quanto mi sembra di capire, si autoconsiderano dei voltagabbana ormai sperimentati
e degni, quindi, di ogni fiducia, dichiarano di non volere “rivendicare
primogeniture”, dio ne scampi, ma di sentire il bisogno di “riunire chi
ha il torto di aver avuto ragione” e non può oggi salire sul carro dei
vincitori “perché di questo carro rappresenta le ruote motrici”.
Personalmente,
non conosco tutti i firmatari di quel singolare documento. In realtà
ne ho individuato soltanto uno: un collega che, molti anni fa, arrivò giovanetto
qui a Radio popolare, sull’onda, come usava allora, di una militanza politica
nelle file della sinistra estrema e non tardò a riciclarsi in RAI sotto
l’egida del craxismo rampante. Lì si era specializzato, mi sembra,
nella laudatio dela figura e delle imprese del sindaco Pillitteri ed era
stato ovviamente travolto, come tanti, dalla valanga di Mani Pulite, nel
senso che, una volta allontanati dal potere i suoi referenti garofaneschi,
lo avevano messo un po’ in un angolo. In effetti, era da parecchio
che non lo sentivo nominare e non sapevo che, in tutta coerenza con la
sua passata carriera, fosse finito dalle parti di Berlusconi. Quanto
agli altri, suppongo che avranno seguito dei percorsi più o meno simili,
anche se forse meno esemplari. Ma in un paese in cui i deputati
che non si sono fatti scrupolo di passare da uno schieramento all’altro
si contano sull’ordine delle centinaia, non credo ci si debba stupire
se quindici giornalisti rivendicano, per così dire, il loro ruolo di “irriducibili”
del cambio di casacca.
Certo,
però, che hanno un bel problema. Il torto da cui dicono di essere
gravati non è semplicemente quello di aver avuto ragione, ma quello di
averla avuta troppo in anticipo. La loro adesione al Polo risale
a tempi, diciamo così, non sospetti e, visto che il Polo è stato per cinque
lunghi anni all’opposizione, ne sono stati ricambiati con cinque anni
di lontananza dal governo e dal sottogoverno. E adesso che sembra
giunto il momento della rivincita, si vedono superati in tromba da nuove
legioni di postulanti, molti dei quali, immagino, avranno passato gli ultimi
cinque anni al calduccio del potere ulivista. C’è davvero da che
farsi venire i nervi e chi vive questa esperienza può essere giustificato
se firma dei documenti un po’ ridicoli come quello di cui vi ho riferito.
Eppure,
c’è una logica cui chi cambia con troppa disinvoltura di schieramento
non può davvero sottrarsi. Chi accetta dei voltagabbana nelle sue
file, lo fa proprio perché sono tali, e con la loro presenza garantiscono
della propria capacità di attrazione. Magari fa un certo conto sulle
informazioni riservate che potrà ricavarne. Ma questi sono entrambi
vantaggi che si colgono all’istante e che all’istante – nel momento,
cioè, in cui il transfuga viene accolto – vanno sfruttati e si sfruttano.
Poi, con il tempo, costui diventerà un supporter come gli altri e
con il metro di tutti gli altri verrà giudicato e ricompensato. E
siccome tra le doti che a tal fine si prendono in considerazione c’è anche
quella dell’affidabilità e il voltagabbana, per definizione, è tutto fuorché
affidabile, il rischio di finire nel limbo dei collaboratori e dei cortigiani
inutili, e quindi sgraditi, lo si corre sempre. È doloroso, ma inevitabile.
I nostri quindici antesignani preoccupati scrivono di non poter saltare
sul carro del vincitore perché ne sono già le ruote motrici e sarà anche
vero, figuriamoci, ma il problema è appunto quello che in carro le ruote
stanno in basso, non in alto.
Quel
manifesto, di fatto, non ha avuto un grande rilievo sui media. Io
ho visto solo la citata colonnina sul “Corriere” (meno di trenta righe)
e nient’altro. Peccato, perché la tragedia dei firmatari avrebbe
potuto dar da pensare ai molti che, in questi tempi incerti, si stanno
chiedendo se valga proprio la pena di restare dalla parte da cui sono stati
finora. Il saggio sa che i vantaggi di qualsiasi scelta vanno misurati
sul lungo periodo. Quanto alle nostre quindici ruote motrici, l’unico
consiglio che posso dar loro è quello di giocare d’audacia. Una
bella capriola e, oplà, potranno ritrovarsi a pieno titolo nella sinistra.
La sinistra, lo sappiamo tutti, è buona e sa perdonare. Certo,
è un rischio, nel senso che le possibilità che si tratti di una mossa vincente
sono davvero scarsine, ma ho l’impressione che a restare lì dove sono
quei poveretti non ne ricaveranno un gran che. E chi non risica,
naturalmente, non rosica.
Carlo Oliva, 25.03.’01