Galantuomini

La caccia | Trasmessa il: 05/16/2004




Il ministro Martino, ci assicura il “Corriere” di giovedì, è un galantuomo, anzi, un “galantuomo liberale”.  La definizione, sulla quale non abbiamo, dio ne scampi, nulla da ridire, non comporta, naturalmente, un giudizio in termini di capacità e di efficienza.   Anzi, lo stesso giornalista che la avanza non può negare, nel suo pezzo, che l’attuale titolare della Difesa si sia mostrato, nelle risposte al question time della Camera sul noto problema delle torture in Iraq, straordinariamente inetto.  In effetti, un ministro capace soltanto di invocare, in difesa dell’operato (o del non operato) suo e del gabinetto di cui fa parte, l’argomento del “noi non sapevamo niente” non solo attira, ma letteralmente invoca una patente di incapacità.  Perché per chi riveste certe posizioni, ovviamente, il non sapere non è una giustificazione, ma un’aggravante.

       L’argomento è stato largamente sviluppato dai commentatori dell’opposizione e persino da qualche incazzatissimo membro del governo, per cui mi asterrò, in questa sede, dall’infierire.  Vorrei fare notare, anzi, che quel poveruomo (il ministro, dico) non aveva, in fondo, molta scelta.  Il “non sapevamo niente” era stato assunto da subito come unica linea di difesa dallo stesso Bush e cosa può fare un leale alfiere dell’atlantismo di fronte alle dichiarazioni del comandante supremo in persona?  Non può far altro che dire che non ne sapeva niente neanche lui e restare lì a prendersi stoicamente la sua dose di ortaggi e pernacchi, da quell’autentico galantuomo che è.

       D’altronde, vi confesserò che da quel tipo di argomentazione non riesco, nonostante tutto, a farmi scandalizzare.  Il “non sapevamo niente” dei potenti mi sembra molto meno deplorevole del loro eterno, ricorrente “non sono stato io”.  Che si risolve, com’è noto, nella pretesa che le conseguenze più sporche della guerra, le torture, appunto, e i massacri, le violenze, i delitti, la pulizia etnica e gli altri “effetti collaterali” che la accompagnano da sempre siano, come dire, degli optional, dei fenomeni accessori che si potrebbero eliminare con un po’ di buona volontà e con un minimo di ossequio alle sagge disposizioni dei capi.  Come se la guerra, in sé, non consistesse nell’applicazione su vasta scala della minaccia di annullare (ammazzandolo) chi non cede il passo in battaglia o, più in generale, non si sottomette: una procedura di fronte alla quale, non c’è santi, tutte le altre minacce possibili perdono di importanza.  Che si possa fare la guerra lealmente, senza violare i diritti umani e rispettando una qualche legge internazionale, è una pretesa che rivela in se stessa la propria incommensurabile futilità.  I tempi dei cavalieri che si affrontavano in leale tenzone manifestando anzitutto la stima reciproca sono passati da un pezzo, anzi, non sono mai esistiti.  Oggi la guerra si fa in nome di una propria conclamata superiorità morale, civile e democratica sull’avversario, che ci si propone, per principio, di abbattere.  Difficile, a questo punto, stare a sindacare il lecito e l’illecito nelle azioni dei combattenti.

       Ma di tutto ciò il ministro della Difesa, come i suoi colleghi, non dà segno di volersi accorgere.  Lui se ne sta lì, indossando la corazza della propria asserita ignoranza con la stessa disinvoltura con la quale ostenta il suo bel completo di taglio inglese.  Le brutte cose, a suo avviso, le fanno solo gli altri e quando gli si fa notare che quegli altri sono, in definiva, gli amici e gli alleati che il governo propone al paese, si limita a ribattere, con eleganti preterizioni retoriche, che anche gli amici dei suoi avversari, a volte, si comportano male.   Come a dire che, nel grande gioco del massacro internazionale, una mano lava l’altra.

       Bah.  Ogni paese ha i governanti che merita e quando per coprire un posto importante si trova un galantuomo, per di più di aspetto piuttosto decorativo, non si può che compiacersene.   Certo, se ogni tanto riuscisse a prodursi in qualcosa d’altro che non lo scarico delle responsabilità, saremmo ancora più contenti.  Ma cosa ci possiamo fare?  In fondo, siamo in guerra.


16.05.’04