Frontalieri a rischio

La caccia | Trasmessa il: 11/12/2006


    Tempi durissimi per i lupi, almeno per quelli dell’area in alpina. Sono considerati “animali protetti” in tutti i paesi della zona (Italia, Francia, Svizzera, Austria, Germania e Slovenia), come sancito da svariate direttive comunitarie, ma di fatto, fuori dall’Italia, non li protegge nessuno: anzi, se quelli italiani si azzardano a varcare i confini li prendono subito a fucilate. Se ne è rammaricato, in una intervista del 7 novembre scorso, il ministro Pecoraro Scanio, che ha poi sollevato il problema, giovedì, all’appuntamento biennale dei ministri firmatari della Convenzione delle Alpi. “Bisogna uscire al più presto” ha dichiarato il popolare leader dei Verdi “da una situazione surreale: l’Unione europea finanzia la salvaguardia del lupo e i paesi membri della Ue lo uccidono. Così non va: non accetteremo che si ripeta la vicenda dell’orso Bruno, che l’Italia era riuscita a proteggere e che, appena ha messo piede in Baviera è stato fucilato.”
    Non sappiamo come sia andato l’appuntamento, ma il problema, in effetti, esiste. Riguarda soprattutto la Francia, che condivide con l’Italia una popolazione transfrontaliera di circa 100 lupi, che dalla nostra parte del confine non si possono toccare, mentre dalla loro ne è consentito l’abbattimento “qualora divengano pericolosi per gli allevamenti”, ma coinvolge anche la Svizzera, che dell’Unione Europea non fa parte e dispone di non più di10 esemplari di lupi, ma si è impegnata a proteggere la specie con la Convenzione di Berna e, pure, quando in una valle di confine ne compare uno in più, i bravi villici, forti dell’esercizio di tiro a segno cui si sottopongono ogni anno in base alla legge militare elvetica, impugnano il fucile e chi si è visto si è visto. Ricordo anch’io il gran parlare che si fece, un paio di anni fa, in tutto il Canton Grigioni sul caso di un lupo sospetto avvistato in Val Bregaglia: i verdi locali (perché ce ne sono anche lì) volevano salvarlo, ma la maggioranza fu inflessibile e il poveraccio finì impallinato. L’ultimo abbattimento è stato registrato nella valle di Goms, al confine con l’Ossola, lo scorso 27 ottobre.
    Certo, il lupo ha, fin dai tempi antichi, una pessima stampa in Europa. Divora gli agnelli innocenti, accusandoli di intorbidargli l’acqua anche se gli inermi lanigeri sono collocati più a valle, tratta malissimo Cappuccetto Rosso e la sua povera nonna, si ostina a tendere trappole e insidie ai tre porcellini. Tutti atteggiamenti deprecabili, ma logici e naturali in un animale che, in definitiva, è un carnivoro predatore, anzi, il più grosso carnivoro predatore, a parte l’uomo e subito dopo l’orso, che frequenti il continente. Per cui da secoli gli danno la caccia e non senza successo, direi, visto che lo hanno ridotto al rango di specie in via di estinzione, meritevole, quindi, di venire protetta. Il paese che ne conta di più, vi sembrerà strano, è proprio l’Italia, che ne ospita 500-600 esemplari sull’Appennino, ben alla larga delle doppiette straniere. Il problema è che hanno una certa tendenza al nomadismo, si ostinano a risalire la penisola fino alle Alpi, sconfinano e si mettono inevitabilmente nei guai.
    Ora, io non so perché i francesi ce l’abbiano tanto con i nobili animali, ma immagino che le loro motivazioni non siano molto diverse da quelle degli svizzeri, i cui cantoni spendono fior di franchi per finanziare l’allevamento e la pastorizia ad alta quota, allo scopo di mantenere in vita quelle attività, che tanto contribuiscono a impedire il degrado cui il territorio andrebbe incontro se fosse abbandonato totalmente al turismo. E i lupi, che scemi non sono, dai turisti si tengono alla larga, mentre sulle pecore, per necessità di alimentazione, un pensierino devono farcelo. Ed è vero che l’Unione Europea rimborsa gli ovini abbattuti, ma i governi cantonali no, e poi se c’è un carnivoro attivo in zona hai voglia rimborsare, specie se il carnivoro in questione è, come appunto il lupo, schifiltosissimo e si ciba soltanto di prede macellate personalmente di fresco (per cui gli serve, in sostanza, una pecora al giorno).
    Insomma, tutti hanno le loro ragioni e bisogna tenerne conto. In Italia, è noto, del degrado dell’ambiente non importa niente a nessuno, la pratica dell’allevamento del bestiame ad alta quota è tenuta dai valligiani in molto minor conto che la partecipazione ai dibattiti televisivi sulle mamme assassine e quindi possiamo permetterci di categorizzare i nostri settecento lupi come povere creature in pericolo che vanno protette e salvate. Altrove, evidentemente, li vedono come bestiacce pericolose da cui proteggere le amate greggia. Così va il mondo e in attesa della fase in cui lupi e agnelli vivranno insieme in perfetta armonia (un signore che ho incontrato l’altro ieri sotto casa mi ha donato un opuscoletto in cui si assicura che manca poco) non possiamo far altro che rassegnarci a questa dicotomia di valore. Gli estimatori dei lupi potranno consolarsi pensando che l’uso transalpino di prenderli a fucilate, pur con gli ovvii inconvenienti che comporta, è in un certo senso più rispettoso della loro identità culturale di nobili predatori che quello di chi li vuole a tutti i costi proteggere. E poi, benedette bestie, dovrebbero saperlo anche loro che nell’Europa di Schengen attraversare le frontiere senza autorizzazione non è pratica esente da rischi.

    12.11.’06