Vi avevo detto, la settimana scorsa,
che il governo era caduto per errore, nel senso che dei quattro senatori
responsabili della crisi della maggioranza, almeno tre (Andreotti, Rossi
e Turigliatto) non avevano la minima intenzione di sortire quel particolare
evento e gli intendimenti del quarto, a questo punto, contavano poco. L’ipotesi,
almeno per quanto riguarda Andreotti, è stata poi confermata in varie interviste
dall’interessato in persona e ciò non ha potuto che farmi piacere. Ma
avevo anche negato, nella stessa circostanza, che il suo voto potesse essere
visto come l’espressione di una congiura vaticana ai danni del previsto
statuto delle coppie di fatto e in questo, ahimè, mi sono clamorosamente
sbagliato. Era proprio per via dei Dico che il senatore ce l’aveva
con Prodi, con particolare riguardo a quella parte del disegno di legge
che prende(va) in considerazione i diritti dei conviventi gay. Non
di queste riforme hanno bisogno i nostri giovani, ha ammonito il divo Giulio
in Senato, facendo capire che della libertà di coscienza cui il presidente
del consiglio aveva affidato l’incerto destino del provvedimento lui non
sa proprio che farsene e che se mai dell’argomento si tornerà a parlare
in aula i sostenitori della famiglia per obbligo potranno contare sul suo
pollice verso. Ed è inutile obiettargli, naturalmente, che la sede
per esprimere quel convincimento non era esattamente la votazione sui criteri
della politica estera. Non era colpa sua se la ben nota arroganza
dell’uomo con i baffi aveva dato a quel dibattito tutte le caratteristiche
di un voto di fiducia e poi è vero che lui si è occupato a lungo di questioni
internazionali, soprattutto come Ministro della Difesa, ma l’unico stato
estero con il quale ha sempre auspicato le migliori relazioni possibili,
non ci piove, è la Città del Vaticano.
E
pazienza se a farsi zelatore di questa peculiarissima politica estera fosse
solo lui. A lui, se non altro in considerazione dei sessant’anni
di strenuo clericalismo che ha sul groppone, a partire da quando entrò
come sottosegretario nel primo governo De Gasperi, potremmo anche perdonarglielo.
La coerenza è coerenza e non sono moltissimi, nel nostro Parlamento,
a potersene vantare. In compenso, di baciapile di ritorno ce n’è
uno spicinìo. Non dico solo degli ex (?) democristiani della Margherita,
dell’Udc, dell’Udeur, da cui non ci si possono aspettare grandissime
manifestazioni di spirito laico, anche se un poco avrebbero potuto sforzarsi,
ma gli altri non hanno fatto molto di meglio. I vari eredi del PC,
diessini, rifondaroli o che altro, del dibattito politico della casa madre
ricordano quasi soltanto che Togliatti aveva un debole per il “dialogo”
con i cattolici. La destra riesce a coniugare le più solenni professioni
di fede liberale con il massimo della compiacenza ai voleri del clero,
dimenticando che i liberali storici quando i vescovi si inframmettevano
nella legislazione civile li facevano arrestare senza ai né bai, come fece
il pur mite D’Azeglio ai tempi delle leggi Siccardi. I leghisti
trovano del tutto conciliabili la pratica dei riti celtici e il culto del
Dio Po con l’ossequio ai voleri della CEI, l’unica autorità romana, a
quanto pare, che si sentono disposti a prendere in considerazione. Persino
i radicali, da quando hanno scoperto le gioie dello stare al governo, chi
li sente più? Nel frattempo la rivista dei gesuiti spiega che è inutile
cercare di migliorare il testo di legge in questione, visto che è molto
più sano e sicuro l’abolirlo del tutto, l’Unione giuristi cattolici nega
rilievo pubblico e sociale alle coppie gay, perché “strutturalmente non
aperte alla generazione” (e ci voleva un’unione di giuristi per scoprirlo),
la Federazione dei consultori cattolici promuove una raccolta di firme
contro “l’equiparazione della famiglia fondata sul matrimonio alle convivenze”
e cara grazia se nessuno finora ha proposto, come elemento di dissuasione
per chi si fa certe idee, la reintroduzione del rogo.
Vox
populi, naturalmente, vox dei. Di fronte a questo vasto consenso
di forze politiche e società civile, è lecito chiedersi se cercare d’opporcisi,
ormai, non sia altro che una forma di ostinazione vana, una manifestazione
di luciferina superbia. Forse, dopo tutto, hanno ragione loro e la
soluzione ai tanti problemi che tormentano la società italiana si potrebbe
cercare in una qualche forma di restaurazione del potere temporale. Se
ciò non fosse possibile, ci si potrebbe accontentare dell’instaurazione
di un formale protettorato vaticano sulla Repubblica. La differenza,
rispetto alla situazione attuale, non sarebbe granché e pensate a quante
complicazioni ci risparmieremmo. Potremmo, per dirne una, licenziare
l’esercito, chiudere tutte le basi e affidarci alla protezione della Guardia
Svizzera. Gli americani non ne sarebbero, forse, felici, ma si sa
che non è possibile servire insieme Dio e Mammona e bisogna saper fare
le proprie scelte. Andreotti non avrebbe dubbi in proposito e degli
altri, in definitiva, cosa ce ne importa?
04.03.’07