Ai miei tempi, quando frequentavo ancora
le scuole, non importa se da una parte o dall’altra della cattedra, il
“coronamento e fondamento” dell’istruzione era, almeno in teoria, l’insegnamento
della dottrina cattolica. Molti, me compreso, se ne scandalizzavano.
Ma era, appunto, una teoria: nella pratica le cose andavano un po’
diversamente. È vero che un’affermazione in tal senso si poteva
leggere in un testo di rilevanza internazionale acquisito dalla nostra
Costituzione, il Concordato tra lo Stato e la Chiesa, ma la scuola, a quei
tempi, si atteneva rigidamente al modello tracciato da Giovanni Gentile
nel 1923 e i suoi fondamenti teorici, se proprio a qualcuno pungeva vaghezza
di individuarli, andavano ricercati piuttosto nella filosofia idealista
(e nello storicismo gentiliano in particolare) mentre i fini che l’insegnamento
si proponeva, oltre a variare da un ordine di istituto all’altro, erano
– nel complesso – piuttosto vaghi, sì che tra gli innumerevoli difetti
che affliggevano quel sistema scolastico, l’eccesso di influenza clericale
era, in un certo senso, l’ultimo che gli si potesse imputare.
Poi, da quando, nel 1985, ai tempi dell’illuminato
governo del compianto Bettino Craxi, di quel Concordato l’Italia e il
Vaticano decisero di fare a meno, quell’affermazione ha cessato di avere
corso legale e nessuno, finora, ha pensato di sostituirla. La chiesa
non avrebbe mancato di estendere a dismisura la sua influenza, grazie agli
sforzi congiunti del centro sinistra prima e del centro destra poi, ma
di tentativi di indicare, con una formula qualsivoglia, fondamenti e finalità
del sistema educativo non mi risulta ne siano stati compiuti, anche se
di schemi e progetti di riforma dell’istituzione, dal 1985 a oggi, ne
sono stati presentati parecchi. E si capisce bene il perché: da un
lato la scuola è un’istituzione piuttosto ambigua, che opera nel corpo
sociale con intendimenti molteplici e spesso difformi tra loro (mira, per
esempio, all’integrazione dei suoi utenti nel quadro valori corrente,
ma può, al tempo stesso fornir loro gli strumenti culturali per sottrarsi
a un’omologazione troppo stretta) e dall’altro si sa che certi obiettivi
meglio li si ottiene quanto meno li si dichiara. Una certa vaghezza
sui propri propositi, nascosta, di solito, dietro un certo numero di belle
parole, di quelle su cui nessuno può avere alcunché da eccepire, per il
buon motivo che, in ultima analisi non significano nulla, ha sempre caratterizzato
i nostri legislatori in campo scolastico e non solo in quello.
Noto
con soddisfazione che a questa tendenza storica non si è sottratta neanche
Letizia Moratti, nonostante lo spirito di rinnovamento incarnato, a dir
loro, del governo cui appartiene. Nel suo disegno di legge delega
sulla riforma scolastica, la definizione del quadro valori entro cui la
celebre manager intende collocare la propria azione riformatrice è affidata
alle due righe scarse dell’articolo 2, comma 1°, lettera b: “Sono
favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza
storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale
e alla civiltà europea.” Punto e stop.
È
un po’ poco, ne converrete anche voi, per un progetto che si presenta
corazzato di ben altre ambizioni. Quella di favorire “la formazione
spirituale e morale” dei giovani, per non dire della loro coscienza storica
di appartenenza, è un’ambizione indubbiamente lodevole, ma, se non si
ha cura di precisarla in termini operativi corre il rischio di sfumare
nell’ambito ideologico, già fin troppo ampio, dell’acqua fresca e dell’aria
fritta. D’altra parte, qualcosa doveva ben dire anche lei, povera
donna. E non potendo certo scrivere, così, nero su bianco, che il
suo obiettivo era quello di smantellare quel poco che resta dell’istruzione
pubblica uguale per tutti, per instaurare in sua vece un sistema minimale
di acculturazione di base per i non abbienti, lasciando spazio alle istituzioni
private avide di spezzare il pane della vera scienza a pro di quanti vorranno
(e potranno) pagarlo in contanti, qualcosa doveva ben dichiarare. La
formazione spirituale e morale, deve aver pensato, è qualcosa che va sempre
bene, anche se, per non compromettersi troppo, si è limitata al proposito
di “favorirla”. Tanto sa bene anche lei che le dichiarazioni di
intenti, in questo campo, valgono quello che valgono, cioè poco meno di
zero.
E
poi qualcosa di esplicito, ammettiamolo, è riuscito comunque a dirlo. Notate,
vi prego, la finezza con cui quell’articolo si propone di sviluppare la
coscienza dell’appartenenza alla comunità locale e a quella nazionale.
Sì, lo so anch’io che, in quei termini, l’espressione suona vagamente
contraddittoria, nel senso che tra due appartenenze qualsiasi è difficile
svilupparne una senza andare in qualche modo a discapito dell’altra, e
se si privilegia il piano locale quello nazionale, inevitabilmente, un
poco ci smena, e viceversa, anche senza stare a complicare le cose con
un concetto vago e storicamente mal definito come quello di “civiltà europea”.
Ma non è colpa di donna Letizia, perbacco, se Berlusconi ha bisogno
al tempo stesso dei voti degli ex secessionisti della lega e degli ex fascisti
di AN. E se l’unico punto su cui veramente convergono questi due
gruppi di ex (facciamo pure finta di credere che lo siano) è quello della
difesa di stato e regioni dalle orde extraeuropee. Insomma, anche
se la signora Moratti non ha potuto scrivere che tra i fondamenti dell’istruzione
pubblica ci sarà anche la legge Bossi Fini, ha fatto indubbiamente del
suo meglio e ci sembra giusto che questo tentativo le venga adeguatamente
riconosciuto.
21.04.’02