Fondamenti didattici

La caccia | Trasmessa il: 04/21/2002



Ai miei tempi, quando frequentavo ancora le scuole, non importa se da una parte o dall’altra della cattedra, il “coronamento e fondamento” dell’istruzione era, almeno in teoria, l’insegnamento della dottrina cattolica.  Molti, me compreso, se ne scandalizzavano.  Ma era, appunto, una teoria: nella pratica le cose andavano un po’ diversamente.  È vero che un’affermazione in tal senso si poteva leggere in un testo di rilevanza internazionale acquisito dalla nostra Costituzione, il Concordato tra lo Stato e la Chiesa, ma la scuola, a quei tempi, si atteneva rigidamente al modello tracciato da Giovanni Gentile nel 1923 e i suoi fondamenti teorici, se proprio a qualcuno pungeva vaghezza di individuarli, andavano ricercati piuttosto nella filosofia idealista (e nello storicismo gentiliano in particolare) mentre i fini che l’insegnamento si proponeva, oltre a variare da un ordine di istituto all’altro, erano – nel complesso – piuttosto vaghi, sì che tra gli innumerevoli difetti che affliggevano quel sistema scolastico, l’eccesso di influenza clericale era, in un certo senso, l’ultimo che gli si potesse imputare.
Poi, da quando, nel 1985, ai tempi dell’illuminato governo del compianto Bettino Craxi, di quel Concordato l’Italia e il Vaticano decisero di fare a meno, quell’affermazione ha cessato di avere corso legale e nessuno, finora, ha pensato di sostituirla.  La chiesa non avrebbe mancato di estendere a dismisura la sua influenza, grazie agli sforzi congiunti del centro sinistra prima e del centro destra poi, ma di tentativi di indicare, con una formula qualsivoglia, fondamenti e finalità del sistema educativo non mi risulta ne siano stati compiuti, anche se di schemi e progetti di riforma dell’istituzione, dal 1985 a oggi, ne sono stati presentati parecchi.  E si capisce bene il perché: da un lato la scuola è un’istituzione piuttosto ambigua, che opera nel corpo sociale con intendimenti molteplici e spesso difformi tra loro (mira, per esempio, all’integrazione dei suoi utenti nel quadro valori corrente, ma può, al tempo stesso fornir loro gli strumenti culturali per sottrarsi a un’omologazione troppo stretta) e dall’altro si sa che certi obiettivi meglio li si ottiene quanto meno li si dichiara.  Una certa vaghezza sui propri propositi, nascosta, di solito, dietro un certo numero di belle parole, di quelle su cui nessuno può avere alcunché da eccepire, per il buon motivo che, in ultima analisi non significano nulla, ha sempre caratterizzato i nostri legislatori in campo scolastico e non solo in quello.
        Noto con soddisfazione che a questa tendenza storica non si è sottratta neanche Letizia Moratti, nonostante lo spirito di rinnovamento incarnato, a dir loro, del governo cui appartiene.  Nel suo disegno di legge delega sulla riforma scolastica, la definizione del quadro valori entro cui la celebre manager intende collocare la propria azione riformatrice è affidata alle due righe scarse dell’articolo 2, comma 1°, lettera b:  “Sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea.”  Punto e stop.
        È un po’ poco, ne converrete anche voi, per un progetto che si presenta corazzato di ben altre ambizioni.  Quella di favorire “la formazione spirituale e morale” dei giovani, per non dire della loro coscienza storica di appartenenza, è un’ambizione indubbiamente lodevole, ma, se non si ha cura di precisarla in termini operativi corre il rischio di sfumare nell’ambito ideologico, già fin troppo ampio, dell’acqua fresca e dell’aria fritta.  D’altra parte, qualcosa doveva ben dire anche lei, povera donna.  E non potendo certo scrivere, così, nero su bianco, che il suo obiettivo era quello di smantellare quel poco che resta dell’istruzione pubblica uguale per tutti, per instaurare in sua vece un sistema minimale di acculturazione di base per i non abbienti, lasciando spazio alle istituzioni private avide di spezzare il pane della vera scienza a pro di quanti vorranno (e potranno) pagarlo in contanti, qualcosa doveva ben dichiarare.  La formazione spirituale e morale, deve aver pensato, è qualcosa che va sempre bene, anche se, per non compromettersi troppo, si è limitata al proposito di “favorirla”.   Tanto sa bene anche lei che le dichiarazioni di intenti, in questo campo, valgono quello che valgono, cioè poco meno di zero.
        E poi qualcosa di esplicito, ammettiamolo, è riuscito comunque a dirlo.  Notate, vi prego, la finezza con cui quell’articolo si propone di sviluppare la coscienza dell’appartenenza alla comunità locale e a quella nazionale.  Sì, lo so anch’io che, in quei termini, l’espressione suona vagamente contraddittoria, nel senso che tra due appartenenze qualsiasi è difficile svilupparne una senza andare in qualche modo a discapito dell’altra, e se si privilegia il piano locale quello nazionale, inevitabilmente, un poco ci smena, e viceversa, anche senza stare a complicare le cose con un concetto vago e storicamente mal definito come quello di “civiltà europea”.  Ma non è colpa di donna Letizia, perbacco, se Berlusconi ha bisogno al tempo stesso dei voti degli ex secessionisti della lega e degli ex fascisti di AN.  E se l’unico punto su cui veramente convergono questi due gruppi di ex (facciamo pure finta di credere che lo siano) è quello della difesa di stato e regioni dalle orde extraeuropee.   Insomma, anche se la signora Moratti non ha potuto scrivere che tra i fondamenti dell’istruzione pubblica ci sarà anche la legge Bossi Fini, ha fatto indubbiamente del suo meglio e ci sembra giusto che questo tentativo le venga adeguatamente riconosciuto.

21.04.’02