Fini e John Wayne

La caccia | Trasmessa il: 04/11/2010


    Mi è venuto in mente, in questi giorni in cui non si fa che parlare di lui, che Gianfranco Fini non è mai stato un fascista in senso stretto, non foss'altro per motivi generazionali. È stato, piuttosto, un neofascista, che, in un certo senso, è peggio. In fondo, i fascisti storici, almeno parte di loro, potevano accampare – con maggiore o minor buona fede – un certo numero di motivi per essere tali. Quelli nati durante il regime ne avevano assorbito per osmosi dettami e propaganda; i più anziani, quelli che avevano vissuto gli anni turbolenti delle origini, potevano sempre affermare di aver compiuto le proprie opzioni nella convinzione che gli esiti sarebbero stati diversi da quello che furono. All'epoca, si sa, per essere antifascisti era necessaria una sagacia politica o una coscienza di classe che non a tutti era data. E in seguito, persino qualcuno dei brutti ceffi che militarono sotto le tristi bandiere della Repubblica di Salò (e poi nel Movimento Sociale) poté sentirsi spinto da motivazioni non totalmente ignobili. Ma Fini... be', Fini è nato nel 1952 e avrà compiuto le proprie scelte di campo verso la fine degli anni '60, in una fase, cioè, in cui esse non potevano non avere un significato di pura reazione antidemocratica, di rifiuto della fase di trasformazione e rinnovamento che attraversava il paese, di odio per l'apparente egemonia culturale della sinistra. Erano anni, quelli, in cui non si poteva prescindere dalla consapevolezza delle colpe storiche del fascismo, né della collusione del partito che se ne considerava l'erede con la strategia della tensione e le trame di ogni specie di servizi deviati. Di Fini possiamo anche prendere con beneficio di inventario certe dichiarazioni a posteriori, come quella – riportata da Wikipedia – per cui sarebbe stato spinto a iscriversi al Fronte della Gioventù dal fastidio indottogli dalla contestazione del film Berretti verdi, perché gli piaceva John Wayne, ma è poco ma sicuro che dietro quella scelta non c'erano, come si dice oggi, “idee forti” o progettualità positive. È questa una caratteristica, del resto, comune a tutti i missini della sua generazione, compresi quelli che sarebbero stati in futuro i suoi “colonnelli”, i Gasparri, i La Russa e gli altri, il che può contribuire a spiegare la tranquillità con cui sono tutti passati ad altre sponde, insieme prima, separati poi. Chi compie le proprie scelte con tanta futile acquiescenza non ha motivo di restarvi particolarmente fedele. Di fatto, erano tutti prontissimi a cedere al fascino delle sirene del potere berlusconiano, al momento della “discesa in campo” del '94. In mancanza di altri ideali, quello della carriera funziona benissimo.
    Poi, naturalmente, ciascuno è libero di cambiare idea e oggi accogliamo con tutta la possibile simpatia l'ingresso di Gianfranco Fini nel grande embrassons nous del pensiero liberale. Gli siamo grati delle pacate contumelie che ha avuto il fegato di rivolgere a Berlusconi in diretta e conserveremo la relativa scena tra i nostri più cari ricordi. Difenderemo persino, in nome di quella Costituzione che anche lui ha il dovere di difendere, pur se l'ha combattuta in passato, il suo diritto a conservare la Presidenza della Camera, che non fa certo parte dello spoil system del capo del governo. Plaudiamo alla comparsa di una nuova, pur esile, voce, tra quelle dell'opposizione.
    Sarà il caso, tuttavia, di affermare – specialmente in una giornata come quella di oggi – che in quella voce non possiamo né intendiamo riconoscerci. Che non ci rappresenta. È vero che da ben poche voci e figure, nel campo dell'opposizione, possiamo dirci rappresentati, ma quella di un ex neofascista, lasciatemelo dire, disturba un po' più delle altre. Per dirla proprio tutta, fa un po' schifo. Anche a noi, ai tempi, piaceva John Wayne, ed è sempre un piacere quando capita di rivedere Un dollaro d'onore o Sentieri selvaggi (o magari Ombre rosse), ma questo non toglie che Berretti verdi fosse una sporca operazione di propaganda imperialista e che il rifiuto della guerra nel Vietnam, in nome del quale contestammo quel film, resta uno dei fondamenti della nostra coscienza civile. Da quella discriminante non intendiamo recedere e, anzi, sbrighiamoci che tra poco parte il corteo del venticinque aprile.
25.04.'10