Fatti compiuti

La caccia | Trasmessa il: 05/09/2004



Immaginate di essere a casa vostra, intenti, con maggiore o minore soddisfazione, alle incombenze della vita quotidiana, e di ricevere la visita inattesa di un omaccione armato di randello, che, dichiarando di essere venuto ad aiutarvi a risolvere i vostri problemi, vi stende sul pavimento con una botta sul cranio.  Immaginate, poi, di trovarvi, al risveglio, incatenati alle canne del calorifero, mentre l’intruso, sistemato nella vostra poltrona preferita, guarda la vostra televisione e sorseggia di gusto il vostro limoncello.  Voi vi mettete a protestare, gliene dite di tutti i colori, uscite – magari – in escandescenze e quello, tranquillo, ribatte: “Sì, in effetti, hai ragione.  Forse non avrei dovuto venire.  Ma visto che ormai ci sono, be’, non me ne posso certo andare lasciandoti libero: chissà quale casino potresti piantare”.
        L’argomentazione, probabilmente, vi farebbe pensare di essere alla mercé, non che di un violento, di un pazzo.  Eppure, oggi discorsi del genere si sentono comunemente sulla bocca di persone che godono fama di non essere né l’una né l’altra cosa.  I dirigenti del centro sinistra, tanto per fare un esempio.  Pensate a quante volte avete letto o sentito che un Prodi, un Fassino, un Rutelli o chi altro per loro ha dichiarato che in Iraq le truppe non dovevamo certo mandarcele, nessuno ne è più convinto di lui e d’altronde tutti ricordano con quanta risolutezza si fosse, all’epoca, opposto al progetto, ma adesso, adesso che a Nassiryia e dintorni i nostri ragazzi ci sono, cosa possiamo fare?  Richiamarli a casa proprio non è il caso: sarebbe una fuga e abbandonerebbe gli irakeni, poveretti, in preda alla guerra civile.  Bisogna cambiare, certo; bisogna dare, come si dice, “una forte impressione di discontinuità”; bisogna trovare una soluzione qualsiasi al sanguinoso pasticcio in cui Bush ci ha cacciato con l’entusiasta collaborazione di Berlusconi, ma le truppe, eh, le truppe non ci si può proprio chiedere di ritirarle.  E chi, a sinistra del triciclo, si ostina a chiederlo, altro non fa che mettere in difficoltà l’opposizione tutta.
        È un bell’esempio, ne converrete, di argomentazione a pera.  Visto che la presenza delle truppe di occupazione ha contribuito più di ogni cosa a portare in Iraq, invece della promessa democrazia, il terrorismo, le divisioni religiose, i kamikaze, gli ayatollah, lo sciovinismo e quant’altro, si spiega che l’unico modo di impedire che tutto ciò faccia danni ancora maggiori è quello di proseguire con l’occupazione.  È una specie di etica del fatto compiuto, una logica ostinatamente autoreferenziale applicando la quale non si può che continuare a fare ciò che si sta facendo.  L’eterna logica, in fondo, di chi dichiara di fare la guerra in nome della pace e solo e soltanto guerra, fatalmente, riesce a produrre.  Da questo punto di vista, non c’è poi una gran differenza nella politica che il centro sinistra al governo seguì con la Serbia e quella che il centro sinistra all’opposizione segue nei confronti dell’Iraq.
        In questa ultima settimana (martedì scorso, per la precisione) ho trovato quel trito argomento svolto per la penna di due pensatori, chiamiamoli così, che hanno fama di particolare acutezza.  Giovanni Sartori, sul “Corriere”, spiega che in Iraq gli americani ne hanno fatte di ogni e un castigo, forse, lo meritano, ma non si può seguire l’esempio di “quel marito che per far dispetto alla moglie fa un dispetto ancor più grosso a se stesso”.  Un argomento finissimo, come vedete, il cui senso è che una volta fatti incazzare gli irakeni non si può che tenerli sotto, se no chissà cosa sarebbero capaci di fare, proprio come nella nostra ipotesi iniziale.  E Giuliano Amato, su “Repubblica”, conferma la sua proverbiale sottigliezza facendo notare che “se mi ritiro oggi perdo la forza negoziale per incidere su quello stesso piano”, come dire che chi si ritira non può più minacciare di ritirarsi, e a cosa mai possa servire una minaccia che tutti sanno destituita di fondamento si dimentica di spiegare.  Il che  fa capire, se non altro, in che mani ci si mette continuando a dare spago all’ex eminenza grigia del povero Craxi.  Forse Fassino farebbe bene a rifletterci un poco.
E forse tutto il centro sinistra farebbe bene a riflettere che, in questo mondo imperfetto, è piuttosto difficile presentarsi, al tempo stesso, come pacificatori benefici e stretti e fedeli alleati di coloro che un intero paese, senza distinzione di etnia, tribù o confessione, considera propri nemici.  Personalmente non so quali e quanti siano i rischi che nell’Iraq scoppi una guerra civile: l’unica guerra che al momento mi sembra allignare è quella generalizzata contro gli americani.  In questo conflitto, ahimè, non possiamo certo pretendere di essere super partes,e questo dovrebbe essere, tutto sommato, il motivo base per, Prodi o non Prodi, cui faremmo davvero meglio a togliere il disturbo.

09.05.’04