Immaginate di essere a casa vostra,
intenti, con maggiore o minore soddisfazione, alle incombenze della vita
quotidiana, e di ricevere la visita inattesa di un omaccione armato di
randello, che, dichiarando di essere venuto ad aiutarvi a risolvere i vostri
problemi, vi stende sul pavimento con una botta sul cranio. Immaginate,
poi, di trovarvi, al risveglio, incatenati alle canne del calorifero, mentre
l’intruso, sistemato nella vostra poltrona preferita, guarda la vostra
televisione e sorseggia di gusto il vostro limoncello. Voi vi mettete
a protestare, gliene dite di tutti i colori, uscite – magari – in escandescenze
e quello, tranquillo, ribatte: “Sì, in effetti, hai ragione. Forse
non avrei dovuto venire. Ma visto che ormai ci sono, be’, non me
ne posso certo andare lasciandoti libero: chissà quale casino potresti
piantare”.
L’argomentazione,
probabilmente, vi farebbe pensare di essere alla mercé, non che di un violento,
di un pazzo. Eppure, oggi discorsi del genere si sentono comunemente
sulla bocca di persone che godono fama di non essere né l’una né l’altra
cosa. I dirigenti del centro sinistra, tanto per fare un esempio.
Pensate a quante volte avete letto o sentito che un Prodi, un Fassino,
un Rutelli o chi altro per loro ha dichiarato che in Iraq le truppe non
dovevamo certo mandarcele, nessuno ne è più convinto di lui e d’altronde
tutti ricordano con quanta risolutezza si fosse, all’epoca, opposto al
progetto, ma adesso, adesso che a Nassiryia e dintorni i nostri ragazzi
ci sono, cosa possiamo fare? Richiamarli a casa proprio non è il
caso: sarebbe una fuga e abbandonerebbe gli irakeni, poveretti, in preda
alla guerra civile. Bisogna cambiare, certo; bisogna dare, come si
dice, “una forte impressione di discontinuità”; bisogna trovare una soluzione
qualsiasi al sanguinoso pasticcio in cui Bush ci ha cacciato con l’entusiasta
collaborazione di Berlusconi, ma le truppe, eh, le truppe non ci si può
proprio chiedere di ritirarle. E chi, a sinistra del triciclo, si
ostina a chiederlo, altro non fa che mettere in difficoltà l’opposizione
tutta.
È
un bell’esempio, ne converrete, di argomentazione a pera. Visto
che la presenza delle truppe di occupazione ha contribuito più di ogni
cosa a portare in Iraq, invece della promessa democrazia, il terrorismo,
le divisioni religiose, i kamikaze, gli ayatollah, lo sciovinismo e quant’altro,
si spiega che l’unico modo di impedire che tutto ciò faccia danni ancora
maggiori è quello di proseguire con l’occupazione. È una specie
di etica del fatto compiuto, una logica ostinatamente autoreferenziale
applicando la quale non si può che continuare a fare ciò che si sta facendo.
L’eterna logica, in fondo, di chi dichiara di fare la guerra in
nome della pace e solo e soltanto guerra, fatalmente, riesce a produrre.
Da questo punto di vista, non c’è poi una gran differenza nella
politica che il centro sinistra al governo seguì con la Serbia e quella
che il centro sinistra all’opposizione segue nei confronti dell’Iraq.
In
questa ultima settimana (martedì scorso, per la precisione) ho trovato
quel trito argomento svolto per la penna di due pensatori, chiamiamoli
così, che hanno fama di particolare acutezza. Giovanni Sartori, sul
“Corriere”, spiega che in Iraq gli americani ne hanno fatte di ogni e
un castigo, forse, lo meritano, ma non si può seguire l’esempio di “quel
marito che per far dispetto alla moglie fa un dispetto ancor più grosso
a se stesso”. Un argomento finissimo, come vedete, il cui senso
è che una volta fatti incazzare gli irakeni non si può che tenerli sotto,
se no chissà cosa sarebbero capaci di fare, proprio come nella nostra ipotesi
iniziale. E Giuliano Amato, su “Repubblica”, conferma la sua proverbiale
sottigliezza facendo notare che “se mi ritiro oggi perdo la forza negoziale
per incidere su quello stesso piano”, come dire che chi si ritira non
può più minacciare di ritirarsi, e a cosa mai possa servire una minaccia
che tutti sanno destituita di fondamento si dimentica di spiegare. Il
che fa capire, se non altro, in che mani ci si mette continuando
a dare spago all’ex eminenza grigia del povero Craxi. Forse Fassino
farebbe bene a rifletterci un poco.
E forse tutto il centro sinistra farebbe
bene a riflettere che, in questo mondo imperfetto, è piuttosto difficile
presentarsi, al tempo stesso, come pacificatori benefici e stretti e fedeli
alleati di coloro che un intero paese, senza distinzione di etnia, tribù
o confessione, considera propri nemici. Personalmente non so quali
e quanti siano i rischi che nell’Iraq scoppi una guerra civile: l’unica
guerra che al momento mi sembra allignare è quella generalizzata contro
gli americani. In questo conflitto, ahimè, non possiamo certo pretendere
di essere super partes,e questo dovrebbe essere, tutto sommato, il motivo
base per, Prodi o non Prodi, cui faremmo davvero meglio a togliere il disturbo.
09.05.’04