L’eterogenesi dei fischi

La caccia | Trasmessa il: 10/22/2006


    Se li è meritati tutti, il presidente Prodi, i fischi che lo hanno accolto giovedì scorso all’uscita dello stadio di Verona, dove si era recato per rendere ossequio al papa, ivi convenuto per concludere non so quale importantissimo convegno ecclesiale. Se li è meritati, fossero o non fossero i fischiatori una claque organizzata da AN o da altre forze politiche ostili. Il capo di governo di un paese laico che va a ossequiare il capo della chiesa cattolica, o qualsiasi altro leader religioso integralista, l’ipotesi di qualche meritatissimo fischio deve sempre metterla in preventivo.

    Vedete, il papa è il papa. Non è cittadino italiano, ma è pur sempre gradito ospite nel nostro paese e in quanto tale ha il diritto di pensare e di dire tutto, ma proprio tutto quello che vuole. Può affermare che la sua chiesa è l’unica detentrice della verità in assoluto, che i cittadini devono attenersi senza eccezioni ai suoi insegnamenti in tema di morale sessuale, familiare e sanitaria, che sarebbe grave nocumento per tutti se lo stato concedesse ad altri la libertà di seguire diversi principi e aggregarsi secondo schemi diversi di quelli che a nome della chiesa promuove e raccomanda. Può ritenere che la ricerca scientifica debba sottomettersi alla dottrina ecclesiastica e che l’insegnamento religioso vada finanziato con larghezza a spese dell’intera comunità, perché in questo nostro occidente in preda a “una nuova ondata di illuminismo e laicismo” solo il messaggio cristiano può “contribuire alla crescita culturale e morale.” Può, insomma, sostenere tutte le tesi che ha elaborato nel corso di una lunga e onorata carriera di teologo e inquisitore e che da quindici mesi ripete, con accresciuta autorevolezza, dall’alto del soglio di Pietro. Può persino permettersi di fare una specie di contorto umorismo, affermando, nel momento stesso in cui esprime tutti questi imperativi, che la chiesa, comunque, “non fa politica”. È suo diritto, come è diritto di quanti concordano su queste simpatiche teorie (e sono tanti) esprimere il proprio plauso e il proprio consenso.

    Ma Prodi, be’ Prodi, proprio no. Lui, poveretto, oltre ai diritti, ha anche dei doveri. Tra i quali, in quanto capo del governo di tutto il paese, quello, liberamente assunto, di garantire la libertà di tutti, compresi coloro che da un’applicazione rigorosa del pensiero ratzingeriano verrebbero inesorabilmente stritolati, e sono tanti anche quelli. Perché non c’è santi: il rapporto tra lo stato moderno e le comunità ideologiche, siano o non siano chiese, è, come ci è capitato altre volte di ricordare, inesorabilmente asimmetrico: lo stato deve assicurare ogni condizione di libertà anche a chi, per suo conto, non aspetta che l’occasione di estinguere la libertà altrui. È il vecchio paradosso del de Maistre, quello che chiedeva ai laici la libertà in nome dei loro principi, riservandosi il diritto di negargliela poi in base ai propri, ed è per contrastare atteggiamenti del genere, sia detto tra parentesi, che è stato inventato quell’illuminismo che il papa tanto deplora e che pure, nel clima che lui stesso denuncia, resta l’unica garanzia che a lui e ai suoi seguaci una eventuale maggioranza di diverso orientamento non faccia le peggio cose.

    Gestire questo tipo di asimmetria, me ne rendo conto, non è la cosa più facile del mondo. Ma appunto per questo si richiede ogni prudenza possibile e tra le manifestazioni di prudenza che più si raccomandano va compresa quella di astenersi da ossequi ideologicamente così impegnativi. Se no sono fischi, fischi per il presidente e fischi per i ministri che lo hanno accompagnato, tra cui quella Rosy Bindi, povera ciccia, che nel discorso papale non ha visto ingerenza alcuna. E non venitemi a dire che le contestazioni di giovedì non avevano nulla a che fare con il laicismo, trattandosi di un vile agguato berlusconiano. Prodi è un uomo colto, e non gli deve essere ignoto il concetto di eterogenesi dei fini. Che vale, per quanto strano possa sembrare, anche per i fischi, nel senso che ogni volta che un laico si piega, più o meno metaforicamente, al bacio della Divina Pantofola, il rischio di beccarsi qualche calcio nel sedere lo corre sempre.