Dorando 08

Atene | Dorando 08


    Chiunque abbia passato una vacanza in Grecia, per quanto breve, avrà senz’altro incontrato qualcuno pronto a spiegargli che i suoi lineamenti erano singolarmente omogenei a quelli della popolazione locale, perché greci e italiani hanno in comune, come ognun sa, una faccia una razza. Dato il livello di autostima che vige da queste parti, la constatazione vuol essere un complimento, e non importa che risalga a un periodo storico triste, visto è che è nata, probabilmente, ai tempi dell’occupazione nazifascista, quando era intesa a far capire come ai greci i militari italiani fossero più simpatici dei tedeschi, il che naturalmente non gli ha impedito di combatterci a sangue in Albania e nell’Egeo, ma in compenso ha permesso a molti nostri soldati, dopo lo sbandamento del ’43, di unirsi alla resistenza greca in un’epopea di cui un giorno bisognerà decidersi a scrivere la storia.

    Che italiani e greci esibiscano, comunque, la stessa faccia e la stessa razza, è idea condivisibile solo fino a un certo punto. È falsa, per cominciare, perché tutti noi umani apparteniamo alla stessa razza e abbiamo la stessa faccia, con minime, insignificanti variazioni di colore, prognatismo e forma degli occhi. E anche se a queste varianti volessimo dare importanza, sarebbe falsa lo stesso, perché qui in Grecia si incontra una quantità di individui con dei capelli biondo rossicci e degli straordinari occhi grigi che in Italia non si vedono tanto spesso (e sono frutto – se vi interessa – dei frequenti rapporti con i vicini slavi). Ed è falsa soprattutto dall’unico punto di vista che conti, quello della cultura quotidiana e del quadro valori corrente, perché è vero che ci affacciamo entrambi sul Mediterraneo e queste, con buona pace di Bossi, sono cose che contano, ma, vedete, io amo molto la Grecia, come avrete capito, ma a volte mi capita di cogliere nei suoi abitanti certe sfumature di comportamento, certe convinzioni, che non mi sentirei davvero di condividere. Nella cultura italiana corrente c’è una vena di bonomia, un fondo di scetticismo pacioso, che non trova spazio in queste dure terre balcaniche.

    Tutto questo, naturalmente, con le Olimpiadi non c’entra. Ma è strano, vi assicuro, anche per uno come me che di fatti sportivi ha scarsa pratica, seguire questo particolare evento qui ad Atene. Mi sono reso conto, per esempio, che dello svolgimento generale dei giochi ho un’idea abbastanza vaga. Le mie fonti principali, giornali, televisioni, rapporti personali, si occupano esclusivamente di quello che fanno i greci. I giornali esposti nelle edicole, anche i più autorevoli, sono tutto un tripudio di bandiere bianche e azzurre, di titoloni dedicati a questo o a quell’atleta ellenico che ha agguantato una medaglia, con tanto di fotografia mentre addenta l’agognato simbolo (qui non baciano le medaglie, come usa presso altre etnie più sdolcinate: le mordono, come si faceva una volta per assicurarsi della purezza del conio, ma dev’essere una spiritosaggine, perché mi hanno detto che di oro e di argento lì, in realtà, ce n’è pochino). Il resto, non dico il resto del pianeta, ma il resto delle Olimpiadi, è praticamente scomparso dai mezzi di comunicazione. Per scoprire chi avesse vinto i cento metri l’altro ieri sono dovuto arrivare a pagina 37. La politica estera sembra scomparsa. Sì, hanno pubblicato due o tre foto di Berlusconi in bandana e pigiama (lo hanno ribattezzato, per l’occasione, “Lawrence di Sardegna”, o anche “o aspròs seikis”, “lo sceicco bianco”), ma solo perché un’occasione di prendere per il culo un leader non greco non se la lascerebbero sfuggire per tutte le medaglie del mondo. Tutto lo spazio disponibile, in linea di principio, va dedicato alle glorie elleniche. Alle glorie, o in mancanza, alle infamie: si possono leggere pagine e pagine di polemiche e deprecazioni sui casi Sendéris e Sabànis, ma quando a venire beccata è una non greca, come la pesista russa Korsanienko, cui hanno tolto una medaglia d’oro e scusate se è poco, scrivono in un trafiletto a una colonna che se l’è voluta perché ha profanato il sacro suolo d’Olimpia e morta lì.

    In realtà, le Olimpiadi sembrano essere occasione di una specie di esercizio di autocoscienza nazionale. I greci, in sé, non sono nazionalisti in senso stretto. Non hanno mire territoriali o problemi di potenza: l’ultima volta che ci hanno provato, nel 1922, hanno preso una tale batosta da restare vaccinati per un po’ da simili tentazioni. Sì, c’è la questione di Cipro, ma persino la tradizionale rivalità antiturca è in calo. Fatto sta, forse perché questo è un paese piccolo che ha subito per mezzo millennio il controllo altrui, che sono terribilmente orgogliosi, orgogliosi a un livello luciferino, suscettibilissimi a quanto si pensa e si dice di loro, sospettosi di ogni manifestazione di interesse che non rientri nei loro schemi. Provate a rivolgere a un estraneo la parola in greco: vi chiederà subito, leggermente allarmato, come mai parlate greco, dove l’avete studiato, perché, se vi piace la Grecia e come state ad Atene. Solo a questo punto, dopo avervi fatto perdere una mezz’ora buona (ma qui si sa che il tempo conta meno che altrove…) vi fornirà l’informazione richiesta.

    Dite che siamo orgogliosi e suscettibili anche noi, quando capita? Forse, ma fino a un certo punto. Certo non fino al punto di venerare quella catastrofe simbolica che sono i simboli nazionali: non avete idea di quante bandiere nazionali si vedono in giro per Atene, sugli edifici, sui taxi, sulle T-shirt, persino, in forma di gioiello smaltato, nella scollatura delle signore. La prossima volta che qualcuno mi chiederà se mi piace la Grecia, cercherò di impartirgli una breve lezione di internazionalismo (si deve dire, se non mi sbaglio, diethnistismòs) e voglio proprio vedere come va a finire.

25.08.’04
Dorando 08