Dorando 02

Atene | Dorando 02


    La Eva Cantarella, in un articolo sul Corriere di sabato scorso che mi è capitato sotto gli occhi soltanto adesso, ci ricorda la storia dell’atleta Apollonio, che, ai giochi della 218ª Olimpiade (nel 96 A.D., quindi, se non ho sbagliato i calcoli) fu squalificato per essersi presentato in ritardo, venne riammesso per aver invocato la causa di forza maggiore, nella fattispecie di un forte vento contrario che aveva rallentato la sua navigazione, e fu bandito definitivamente dai giochi quando il solito rompiscatole si presentò a testimoniare che no, quel giorno il vento era favorevolissimo. È una storiella ben nota, che una volta si ritrovava regolarmente nei brani sottoposti ai ginnasiali alle prime armi per la versione di greco, che fa di Apollonio, poveretto, uno dei pochissimi atleti antichi di cui si sappia qualcosa di più oltre al nome (i nomi dei vincitori, in realtà, ci sono conservati tutti, dal 776 avanti al 217 dopo, in una lista tramandata nella Storia ecclesiastica di Eusebio, ma non deve essere una lettura gran che divertente). Apollonio, invece, rappresenta un caso umano, e la sua popolarità è pari almeno a quella del leggendario Orsippo di Megara che, nel 720, nel corso della quindicesima edizione dei giochi, perse i vestiti mentre correva e visto che, libero da ogni impedimento, finì per arrivare primo, spinse tutti i colleghi, all’edizione successiva, a presentarsi alla linea di partenza rigorosamente nudi. Da allora di vestiti in pista non se ne videro più e fu forse questo, parecchi secoli dopo, che spinse il pio imperatore Teodosio ad abolire un evento così scandaloso.

    Il problema, in ambedue i casi, è lo stesso e riguarda la buona fede degli interessati. Era Apollonio un astuto imbroglione giustamente smascherato, o un povero cristo vittima, oltre che delle avverse condizioni atmosferiche, di uno di quei delatori di professione che affliggevano i tribunali greci, compresi quelli sportivi? E Orsippo, a sua volta, era un pasticcione fortunato che non sapeva neanche tenere abbottonata la clamide ma filava come un diretto, o uno spudorato calcolatore che aveva previsto da prima della partenza gli effetti del suo striptease? Sono, più o meno, le alternative su cui si accapigliano i greci di oggi, a quattro giorni del fattaccio Kenderis-Thanu. Come succede spesso in questo paese, l’opinione pubblica ci ha messo pochissimo a dividersi in due scuole di pensiero contrapposte e affatto traversali sul piano dell’ideologia pubblica: da una parte i seriosi, la gente bene, i cittadini responsabili, che non smettono di ripetere che tutta questa storia è una vergogna per il paese, lo sport e lo spirito olimpico in genere e bisogna prendere senza indugio gli opportuni provvedimenti, a rischio di fare dei due disgraziati dei classici capri espiatori (ieri costoro hanno anche avuto il conforto dell’opinione del Presidente della Repubblica, Costantinos Stefanopulos, che di solito è la persona più discreta del mondo, anche perché ha ancor meno poteri di Ciampi, ma stavolta non ha esitato a schierarsi), e dall’altra quelli che preferiscono pensare che ci sia sotto qualcosa, un qualche bell’intrigo, una manfrina organizzata per motivi di odio o di interesse da qualche imprecisato “Cattivo”. Vedremo domani quale sarà la sentenza del CIO, ma è difficile che riuscirà, quale che sia il suo orientamento, a convincere tutti i greci.

    In realtà, nella storia di Apollonio si può trovare, forse, un dato di più sicuro interesse: il fatto che a testimoniare contro di lui non sia stato un greco qualsiasi, ma un suo concittadino, che difficilmente sarà stato mosso dall’amore disinteressato per la verità. È la prova di come le Olimpiadi antiche non riuscissero, esattamente come le moderne, a far tacere, non che le tensioni tra le comunità, neanche quelle personali e che dello spirito olimpico, che in teoria avrebbe dovuto avere – allora – un alto valore religioso, a tutti importava solo fino a un certo punto. Ai giochi si partecipava per vincere e se per vincere era necessario far squalificare il favorito, be’, potendo lo si faceva squalificare. Non esisteva tregua tra le rivalità dei singoli, esattamente come non ne esisteva una a livello di stati e città: gli storici ci assicurano concordi che quella della “pace sacra”, della sospensione di ogni guerra, rivalità o scaramuccia in occasione delle gare di Olimpia, è poco più che una leggenda e che esprimeva, anche allora, soltanto il pio desiderio di qualche ottimista e l’ipocrisia di qualche spregiudicato. Succede anche oggi: tra i tanti pezzi grossi che si sono presentati solennemente allo Zappeion a firmare il libro d’onore della “tregua olimpica” (sì, c’è anche quello) si contano alcuni dei più reputati guerrafondai del pianeta. In assenza di Bush W., qui la gente si è incazzata soprattutto per la presenza di Blair, ma il primo ministro inglese non è stato certamente l’unico. Si sa: le Olimpiadi passano e i motivi di fare la guerra restano e non basta la retorica (un’altra invenzione greca) per far finta di no.

    17.08.’04
    Dorando 02