Domande al bar

La caccia | Trasmessa il: 12/04/2011


    Domande al bar

    L'altro giorno, dopo aver comprato i soliti giornali all'edicola, sono entrato nel bar adiacente e ho ordinato un caffè. In piedi davanti al banco ho dato una scorsa ai titoli principali, come è mia abitudine, e poi sono passato alla cassa per pagare la consumazione. È stato a questo punto che la signorina che mi aveva servito mi ha guardato con aria strana e mi ha chiesto: “Scusi, ma il suo caffè non lo beve?”
    Confesso di esserci restato male. So di essere distratto, ma non a un livello di barzelletta e l'idea di pagare un caffè che avevo ordinato ma mi ero dimenticato di bere mi sembrava pericolosamente vicina a quella soglia. Per fortuna che a darmi conforto è intervenuta una gentile signora che, accanto a me, stava sorbendo un cappuccino. Mi ha sorriso e mi ha chiesto a sua volta: “Lei è preoccupato per la situazione economica, vero?”
    Per essere completamente sincero, non lo ero. La situazione economica mi preoccupa come chiunque, oggi come oggi, ma in quel momento stavo pensando a tutt'altro. Tuttavia non ho avuto il coraggio di ammetterlo. Ho sorriso a mia volta, un po' a denti stretti, e ho bofonchiato in risposta qualcosa come “Be', sì, effettivamente...” Poi ho bevuto il mio caffè, che era ancora troppo caldo e mi ha scottato il palato, ho versato il mio obolo, ho distribuito un paio di sorrisini tirati e mi sono affrettato a uscire. Avevo l'impressione, come un Talete caduto nel pozzo e motteggiato dall'ortolana, di essere stato preso vagamente in giro.
    Non credo, tuttavia, che quella signora – che un'ortolana sicuramente non era – avesse davvero l'intenzione di farlo. Essere preoccupati per la situazione economica oggi è praticamente un dovere e supporre, per sanare qualche contraddizione nel loro comportamento, che lo siano i nostri simili è una ipotesi fin troppo plausibile. Probabilmente era preoccupata anche lei e si è limitata a riversare su di me un suo cruccio interiore. Siamo tutti sottoposti, da un certo numero di settimane, a tali e tanti messaggi inquietanti, a un bombardamento mediatico talmente intenso che sfiora (e forse raggiunge) il livello del terrorismo ideologico, che da una tal sorta di preoccupazione non ci sarebbe consentito esentarci neanche se lo volessimo.
    In realtà, il tutto potrebbe essere considerato una bella rottura di scatole. Sui giornali non si parla altro che di crisi, di spread, di attacco speculativo, di crisi di liquidità, di possibilità di default, di implosione dell'euro e conseguente collasso della Unione europea, con l'annessa necessità di prendere in merito i necessari, dolorosi provvedimenti. In televisione non compaiono altro che economisti, finanzieri, banchieri ed esperti del mercato del lavoro che ripetono ossessivamente la stessa canzone. In radio – alla nostra radio, dico – dallo spazio di attualità del mattino, quello che segue immediatamente la rassegna stampa, al microfono aperto serale dopo il notiziario locale, non si parla d'altro. Non dico che lo si sia fatto intenzionalmente, almeno non in tutti i casi, ma mi sembra indubbio che per prepararci all'impatto che produrrà l'annuncio delle misure adottate dal governo (domani lunedì, se ho capito bene) e quello dei provvedimenti giudicati indispensabili a livello europeo (attesi, sempre se ho capito bene, per giovedì 8) si sia seminato abbondantemente il panico. Qualcuno deve aver pensato che una opinione pubblica tremebonda e incapace di orientarsi in questa tempesta di cattive notizie sia proprio quella di cui l'establishment economico ha bisogno in questo momento.
    Intendiamoci. Non voglio assolutamente affermare che la crisi, in realtà, non ci sia, che le operazioni mediatiche di cui sopra rientrino nella categoria della disinformazione e che il tutto rappresenti soltanto una forma di elaborato inganno da parte dei detentori del potere economico e informativo. La crisi c'è senz'altro e di motivi per essere preoccupati ne abbiamo tutti a iosa. Ma nessuno mi toglierà dalla mente l'idea che di essa crisi qualcuno stia approfittando per regolare un certo numero di conti – ne abbiamo già parlato, mi sembra – facendo definitivamente strame dei diritti e delle garanzie di cittadini e lavoratori e rafforzando quanto più è possibile la propria posizione di comando. In tale prospettiva, più panico si semina meno probabilità di proteste ci sono e meno si protesta meglio possono riuscire quei progetti. L'analisi sarà banale, ma spesso con le banalità ci si azzecca.
    E la signora del bar? Be', prima mi sono dimenticato di dirvi che mentre uscivo dal locale le ho rivolto uno sguardo e un rapido cenno di saluto. Al che lei, proseguendo nella sua inquisizione, ha aggiunto: “O forse è in ansia per il futuro dell'umanità?” Forse, a pensarci, voleva davvero soltanto prendermi in giro.

    04.12.'11