Di tutti

La caccia | Trasmessa il: 01/09/2005



Quando ero piccolo e mi capitava, a scuola, di dovermi cimentare con la “analisi logica”, una sorta di elaborata tortura mentale che allora si usava parecchio e che spero sia, nel frattempo, sparita,  avevo dei problemi con il “complemento di specificazione”.  Mi sembrava, quel complemento, di una straordinaria elusività, forse perché i criteri che mi avevano fornito per riconoscerlo si riducevano al fatto che fosse retto dalla preposizione “di” e/o rispondesse alla domanda “di che cosa?”, il che mi lasciava affatto disarmato di fronte a espressioni del tipo “prima di sera” e “statua di piombo”, nonché ai libri “di” Emilio Salgari (sì, lo so, si dovrebbe dire Salgàri) e al problema di che cosa avrebbe pensato la maestra “di” me.  Quelle perplessità si sarebbero ulteriormente acuite, pochi anni dopo, ai primi contatti con il genitivo latino, che allora si presentava ai giovinetti come la forma in tutto corrispondente al complemento di cui sopra, salvo lasciar loro scoprire, a proprie spese, che non lo si poteva utilizzare né per la materia, né per l’argomento, né per le sequenze temporali e che, in ogni caso,  quando lo si impiegava per specificare un sostantivo (come il “di” in italiano, appunto) lo poteva “specificare” in mille modi e più.   Con il tempo, poi, sono riuscito a orientarmi fino a capire la differenza tra “genitivo oggettivo” e “genitivo soggettivo”, distinguendo, per quel che serve, la “paura del lupo” che affligge i porcellini da quella che prova il lupo stesso nei confronti dei cacciatori, ma resto ancor oggi dell’opinione che un’analisi esaustiva e soddisfacente di questi usi linguistici sia ancora da fare, anche se, grazie soprattutto all’opera di Silvio Ceccato e della sua scuola (ammesso che ne esista una), gli strumenti concettuali necessari, per chi se la sente, ormai ci sono.
        Nell’attesa, ho paura che agli inermi frequentatori delle scuole elementari e medie si spieghi ancora che il complemento di specificazione è quello retto dal di e che la sua funzione è quella di specificare i rapporti dei sostantivi tra loro, sorvolando sul fatto che difficilmente un modello tanto povero sarà in grado di dar ragione della infinita ricchezza  dei rapporti che si possono porre tra i sostantivi e tra i soggetti cui i sostantivi si riferiscono.   Il che non è semplicemente un problema di classificazione o di definizione di modelli linguistici, visto che dall’ignoranza non emerge mai nulla di buono sul piano dei valori sociali e che c’è sempre gente che approfitta di questo tipo di ambiguità per perseguire, senza prendersi il disturbo di dichiararli a nessuno, i propri fini personali.
        Il presidente Formigoni, per esempio.  Compiendo chissà quale mossa basilare nella complicata partita di potere che conduce da tempo con il suo capo, ha riempito la Lombardia di manifesti formato gigante in cui, accanto a una fotografia piuttosto melensa del suo bel faccione, afferma di essere,  bianco su verde, “il presidente di tutti”.   Di tutti noi lombardi vuol dire, me e voi compresi, che non è un’affermazione gentile nei confronti dei molti che da lui dissentono per programmi, tendenze e ideologie, per non dire dei non pochissimi che pur di non averlo in quel ruolo hanno compiuto il sacrificio di votare per Diego Masi o Mino Martinazzoli.  Ma pure, in un certo senso (nel senso, diremo, del genitivo soggettivo), un’affermazione vera, perché è indubbio che su noi tutti quel pio figuro presieda: lo esigono le leggi della democrazia, nella versione imperfetta concessaci dal capitalismo.  E finché la sinistra continuerà a preferire alle luci della ragione quelle dei fabbricanti di lampadari suppongo che colui continuerà a presiederci per un pezzo.
        Già, direte voi, la proposizione sarà anche vera in quel senso, ma non lo è in quello, per così dire, del genitivo oggettivo.  Non è vero che i lombardi si rispecchino al cento per cento nel suo governo, né che ne condividano i valori, né, tanto meno, che gli abbiano conferito all’unanimità il mandato di rappresentarli in quella sede.   Si può discutere sul tipo di rappresentatività dei deputati, che ai sensi della Costituzione agiscono senza limiti di mandato (per cui a noi milanesi tocca essere rappresentati, tra gli altri, da Ignazio La Russa e scusate se è poco), ma i presidenti delle regioni hanno un ruolo tipicamente esecutivo e rispondono solo alla propria parte politica e al relativo elettorato.   Formigoni, si sa, pone qualche problema in merito, nel senso che non è chiaro se risponda a Forza Italia, a CiElle, alla Chiesa post tridentina, allo Spirito Santo, alla Compagnia delle Opere o semplicemente a se stesso, ma questi sono cavoli  – appunto – dei suoi elettori.
        È tutto verissimo, naturalmente, ed è probabile che lo sappia anche lui.  Solo che, per l’occasione, fa finta di no.  Si tratta, del resto, di una mossa caratteristica dell’armamentario politico di tutti i tempi, quella di chi confonde (o identifica) i progetti di parte con il mitico interesse generale e in nome del ruolo istituzionale che, a torto o a ragione, riveste pretende la lealtà di tutti, come se il semplice fatto di stare al potere garantisca, ipso facto, la capacità di comporre i contrasti e di dare a tutti senza togliere a nessuno.  Da questo punto di vista, non c’è re, presidente, tiranno, persino, che non tenda  ad autoidentificarsi con il paese su cui esercita il  controllo, con l’ovvio vantaggio di legittimarsi a basso costo e di trasformare oppositori e rivali da rispettabili avversari politici in spregevoli nemici della patria o, se va bene, in brutta gente che rema contro.  E non so le altre lingue, ma l’italiano, con quella faccenda dei due genitivi, un pochino aiuta.
Il nostro devoto presidente, anche in questo caso, non ha inventato nulla di nuovo: come è prassi del suo gruppo di riferimento (e lasciatelo dire a me, che al liceo ho avuto il dubbio onore di essere allievo del celebre don Giussani, e queste tecniche ho imparato riconoscerle da allora) si limita a ripresentare delle vecchie proposizioni usurate contando per avvalorarle più sulla burbanza con cui le presenta che sulla loro logica interna.  Ma questo, se non altro, ci fa capire perché varrebbe la pena di risolvere una volta per tutte sul piano teorico quel problemino di analisi logica che mi affliggeva alle elementari: per dotarci tutti di uno strumento di analisi che impedisca a gente come lui di ricorrere con disinvoltura a certi giochini linguistici che ricordano molto il gioco delle tre tavolette.

09.01.’05