Delusioni

La caccia | Trasmessa il: 05/27/2001



Suppongo che nessuno di voi si sia stupito più di tanto apprendendo che, alla recente assemblea della Confindustria il presidente degli industriali italiani si sia dichiarato felicissimo del cambio di maggioranza e non abbia nascosto la fiducia di ottenere dal nuovo governo quanto da tempo agli industriali sta a cuore: tagli allo stato sociale, congrue riduzioni fiscali alle industrie, mano libera nei rapporti con la forza lavoro, inclusa la libertà di licenziare chi e come vogliono senza che il sindacato ci si metta di mezzo.   Si parla tanto di libertà e di diritti, ma quando si giunge al dunque i padroni non mancano mai di far notare che l’unica libertà e l’unico diritto che gli interessa davvero è quello di fare i soldi e di tenerseli stretti.  Adesso che al governo ci va uno di loro, naturalmente, possono dirlo forte e chiaro, senza ricorrere alle fastidiose mediazioni del linguaggio politico. Così va il mondo e sarebbe sciocco fingere che vada in qualche altro modo.  È un aspetto anche questo di quel colossale conflitto di interessi (un conflitto di cui quello di Berlusconi rappresenta, in definitiva, solo un caso particolare) noto con il nome di capitalismo.
        L’unico a restarci davvero male, a quanto sembra, è stato il quasi ex ministro Fassino.   Presente al discorso di D’Amato, costui si è dichiarato “deluso, molto deluso”.  Quella relazione gli è sembrata “ingenerosa verso il centrosinistra e troppo appiattita con il governo che verrà”.  In fondo, ha detto, “una Confindustria che rivendica la sua autonomia non dovrebbe aver paura di dare a Cesare quel che è di Cesare.”  E “se oggi gli imprenditori possono chiedere a chi governa di misurarsi con le nuove sfide della competitività lo si deve alle strategie di rinnovamento e di crescita messe in campo dagli esecutivi di centrosinistra”.   Come a dire: ma insomma, abbiamo fatto tanto per voi e adesso ci ringraziate prendendoci a calci?  Ma che modi sono questi?
        Strano tipo, eh, quel Fassino.   In fondo è stato lui, all’indomani delle elezioni, a presentarsi in televisione per spiegare che, tutto sommato, i risultati non erano così da buttare, perché l’Ulivo aveva tenuto abbastanza e il Cavaliere, in termini di voti assoluti, era addirittura in minoranza.  A confrontare quelle dichiarazioni con questa intervista (“Repubblica”, venerdì 25 u.s.) si direbbe che il poveraccio sia stato più deluso dall’ingratitudine degli industriali che dalla sberla dell’elettorato.  Ma forse il problema non è solo suo.  È il problema generale di una classe politica che, in nome di un supposto “interesse generale” ha perso il senso degli interessi concreti che dovrebbe rappresentare.  Che si stupisce se quello che una volta (ma non tantissimo tempo fa, in fondo) si definiva l’avversario di classe non si compiace degli sforzi che la sinistra al governo ha compiuto per permettere agli industriali di “misurarsi con le nuove sfide della competitività”.  Che, in definitiva, ha fatto propria la cultura dell’avversario e, non per bocca dell’ultimo imbecille di passaggio, che ce ne sono tanti, a sinistra come a destra, ma per quella di colui che, per scelta unanime, dovrebbe guidare fuori dalle secche attuali quanto resta del principale partito della sinistra, deplora solennemente che tanto sforzo non sia stato adeguatamente apprezzato e premiato.
        Come diceva quel tale, facciamoci forza perché sarà un lungo inverno.

C. Oliva, 27.05.01