De brevitate vitae

La caccia | Trasmessa il: 05/19/2002



Il ragazzino seduto davanti a me in tram ha l’aria buona, gli occhiali spessi e i capelli tagliati corti.  Indossa un paio di pantaloni a tre quarti che a me sembrano troppo larghi, anche se so che adesso vanno di moda così, e una maglietta nera di cotone su cui spicca in bianco, a caratteri di scatola, la scritta LIFE IS SHORT, FIGHT HARD:  “La vita è breve, lotta duramente.”  Un motto suggestivo per chiunque abbia una qualche nozione di inglese, anche se il suo portatore, che sarà, a occhio  e croce, sui quindici anni, non può avere un’idea molto precisa su quanto realmente la vita sia breve e, con quella sua aria vagamente imbambolata, non sembra troppo propenso alle lotte e ai combattimenti.  Ma, in fondo, quel verbo, in inglese come in italiano, copre uno spettro semantico abbastanza ampio perché lo si possa applicare a qualsiasi soggetto.  Non si lotta soltanto menando le mani o prendendo il nemico a cannonate: lo si fa anche impegnandosi a non deflettere dagli obiettivi che si considerano opportuni e desiderabili.  Tanto è vero che c’è chi lotta per la pace, o afferma di farlo, e nessuno avverte nel suo impegno la benché minima sfumatura di contraddizione.
        D’altra parte… d’altra parte il fatto che quella esortazione sia icasticamente connessa all’affermazione della brevità della vita un po’ fa pensare.   Perché mai, in definitiva, la coscienza della fugacità del nostro itinerario terreno dovrebbe spingerci alla lotta, e per di più dura?  Forse perché, come osservavamo dianzi, “lotta” è sinonimo di “impegno” e solo nell’impegno, nella costante dedizione a un ideale, la vita dell’uomo trova un significato che ne compensa l’irrilevanza sul piano cosmico?  Può darsi, ma il messaggio, francamente, mi sembra un po’ troppo serioso per una maglietta.  Le frasi sulle magliette esprimono spesso delle verità importanti, ma, a parte il fatto che, in genere, tendono ad alleggerirne l’impatto presentnadole in forma di battuta, di solito la loro saggezza è di un tipo, diciamo così, pratico.  Una pura e semplice esaltazione dello Streben goethiano mi sembra, in quella sede, un tantino fuori luogo.
        Quale può essere, allora, l’invito che la saggezza pratica fa seguire alla presa di coscienza di quanto sia effimera questa nostra esistenza?  Non è una domanda difficile: da sempre, generazioni di poeti ci hanno esortato in tutte le lingue a godere dei doni che la vita ci offre, a non lasciarci sfuggire una rosa che sia una, a dilettarci, finché possiamo, del vino della coppa, a cogliere il giorno che fugge quam minime creduli postero.  E, a pensarci bene, di magliette inscritte con le più ingegnose variazioni sul tema del carpe diem mi ricordo di averne visto in giro parecchie.
        Sì, d’accordo, direte voi, ma la lotta?  Be’, in questo contesto, la lotta, intesa nel senso meno metaforico possibile, si spiega sin troppo bene.  I doni della vita, ahimè, sono tali solo fino a un certo punto.  In linea di massima, bisogna guadagnarseli.  Non solo: bisogna evitare che se li accaparrino gli altri.   Siamo in più di sei miliardi, su questo pianeta acciaccato, e di rose non ce ne sono per tutti.  Se vuoi goderti la vita, mio caro ragazzo, devi essere sempre pronto a mollare qualche sganassone alla concorrenza.
        Insomma, quella frase, che a prima vista sembrava la traduzione in inglese di una massima del marchese De Coubertin, può essere benissimo l’originale di un’esortazione di Cassius Clay.  D’altronde, to fight in inglese non esprime solo un generico “lottare”, in senso proprio o figurato.  Può riferirsi anche a forme altamente specifiche di combattimento.  Come il suo omologo tedesco fechten ha finito con lo specializzarsi nel significato tecnico di “praticare la scherma”, to fight, nei contesti appropriati, si usa per indicare l’attività di chi tira di boxe, e siccome chi tira di boxe non è, nella maggior parte dei casi, famoso per la delicatezza dei modi, significa anche “picchiare” e “pestare”, o anche, come scoprirò una volta tornato a casa sul mio vocabolario, to use aggressive rough tactics, “usare una tattica rude e aggressiva”.  Insomma, la vita è breve e tu pesta giù duro.
        Di primo acchito, l’idea che un giovane dall’aspetto così mite andasse in giro con un’esortazione del genere impressa a grandi caratteri sul torace mi ha un poco immelanconito.  Poi sono consolato riflettendo che la conoscenza media delle lingue straniere nelle nostre scuole non è di livello tale di permettere a tutti di cogliere certe sfumature.   Al ragazzino sul tram, probabilmente, quella scritta era piaciuta per quel tanto di anticonformista e ribelle che ci si può cogliere a prima vista e lui, esibendola, intendeva esprimere semplicemente il rifiuto di una concezione troppo melensa del mondo.  Anch’io, in età non proprio pari alla sua, ma, tutto sommato, abbastanza giovanile, ero solito scandire slogan che esortavano alla lotta dura senza paura e non per questo venivo meno – ve lo assicuro – alla mia innata mitezza.
        Il vero guaio è che nell’esortazione a pestare gli altri per sottrargli la loro parte di doni della vita (o, se vi sentite di umore prosastico, di beni di consumo) non c’è proprio nulla di ribelle o di anticonformista.  Nell’invito a impiegare, nell’approccio con l’esistente, una tattica rude e aggressiva, perché è ai propri personali interessi che bisogna, in prima istanza, badare e gli altri si grattino pure, consiste, in ultima analisi, l’ideologia ufficiale del governo in carica.  E che non si tratti dell’aberrazione di un ceto politico fuori di testa, ma di un punto di vista radicato nel corpo sociale, lo dimostra non solo l’ampia maggioranza e la diffusa simpatia di cui quel governo gode nel paese, ma il fatto che la stessa opposizione non sembra disposta a impegnarsi su formulazioni, tutto sommato, diverse.  E sì, ammetto che quando ti vengono in mente la protervia del governo e la remissività dell’opposizione, l’invito a pestare giù duro può apparire straordinariamente allettante, ma forse non è il caso.  La vita è breve, usate il cervello.

19.05.02